30 aprile 1950 nasce la CISL
L’area laica e riformista – costituita da repubblicani, socialdemocratici e socialisti autonomisti di Giuseppe Romita – fuoriuscì anch’essa dalla CGIL il 17 maggio 1949, dando vita alla FIL.
Gli americani spingevano per un’unione della LCGIL con la FIL, al fine di creare un grande sindacato moderato, filogovernativo, da contrapporre alla CGIL.
Il 29 gennaio 1950, con il Congresso di Napoli, la FIL deliberò la fusione con la LCIGL; la decisione determinò tuttavia un’ulteriore spaccatura, in quanto solo la dirigenza della FIL confluì nella LCGIL, mentre la base fondò la UIL.
Il 30 aprile 1950 la LCGIL assunse il nome, che ancor oggi conserva, di CISL.
[…] La nascita della CISL introduce nella situazione italiana un elemento nuovo che certamente non poteva né affermarsi di colpo, né muoversi indenne nel quadro complesso dei rapporti in cui si inseriva.
Se pensiamo che soltanto venti anni più tardi una situazione del tutto eccezionale, nella quale confluiranno la contestazione a scala internazionale della cultura legata al consumismo, la grave battuta d’arresto della nostra economia, la crisi di rappresentanza dei nostri tradizionali partiti <<storici>> renderà generalmente manifesta l’esigenza di una <<rifondazione>>del sindacato e che questa rifondazione troverà essa stessa al suo svolgersi in senso unitario ostacoli non ancora superati sul terreno dell’autonomia, si comprenderà quale tipo di difficoltà si trovarono ad affrontare la nuova organizzazione e il suo principale protagonista negli anni ’50.
Il dato nettamente prevalente nella vita politica italiana agli inizi degli anni ’50 è costituito dalle implicazioni derivanti dal suo rigido rifarsi alla spaccatura del mondo in due blocchi chiusi, con tutto quello che ciò ha comportato nei riflessi degli equilibri internazionali, non solo per la collocazione nel nostro Paese, ma anche per il mancato interscambio economico e culturale, e nei riflessi degli equilibri interni, sia per la salvaguardia della libertà appena riacquistata e sia per il possibile ruolo dei lavoratori nel processo di ricostruzione del Paese.
Si introduce, pertanto, all’atto stesso della liberazione, un elemento della vita politica italiana, la necessità di difendersi dal comunismo internazionale e nazionale, che darà luogo, in qualche ambiente e in qualche circostanza, ad una posizione anticomunista globale, non priva di aspetti negativi e di ostacolo al progresso.
Com’è noto, è questa situazione che si modificherà assai lentamente ed il passaggio ad una adesione meno critica alle politiche delle <<nazioni guida>> (e perciò ad una più autonoma interpretazione dei problemi del nostro Paese) segue l’evolversi stesso – lento e non lineare – della situazione internazionale, dalla fase della guerra fredda, di cui sono espressioni agli inizi degli anni ’50 il maccartismo e lo stalinismo, alla rivoluzione cinese, alla destalinizzazione, alla crisi del colonialismo, fino alla coesistenza pacifica, che contraddistingue la fase del nuovo equilibrio economico e dell’inizio dell’era spaziale.
Agli inizi degli anni ’50, Pastore interpreta, soprattutto sul terreno sindacale nelle azioni della CISL, la opposizione di una larga parte dei lavoratori italiani all’indirizzo stalinista del comunismo, che sarà poi oggetto di profonda revisione dello stesso Partito comunista italiano.
Ma la radicalità delle contrapposizioni politiche, propria di quel periodo, non poteva non riflettersi sui problemi della nostra ripresa economica post bellica.[…] pp.95
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