27 febbraio 1885 nasce Angelo Virgilio Faggi (Brozzi27 febbraio 1885 – Piacenza6 gennaio 1967) è stato un sindacalista e politico italiano, sindaco di Piacenza e Deputato del Regno d’Italia. Fu anche impiegato, scultore e giornalista.

Attivo sin da giovane nell’Unione Sindacale Italiana (USI), sindacato vicino alle posizioni anarchiche del Sindacalismo rivoluzionario, si alternò con Antonio Negro alla guida della Camera del Lavoro di Sestri Ponente, una delle poche in cui prevalevano le posizioni del sindacalismo rivoluzionario. Fece attività sindacale anche a Ferrara e Piacenza.

In seguito a condanne per reati politici emigrò in Svizzera dove fu espulso per l’attività di organizzazione sindacale dei minatori italiani. Si spostò a Parigi e poi negli USA. Qui collaborò alla realizzazione del giornale Il Proletario e nel maggio del 1917 ne divenne il direttore. In seguito all’entrata in guerra del 1917 la repressione anticomunista negli Stati Uniti diviene più dura e Faggi venne arrestato per sedizione e complotto una prima volta nel 1917 assieme ad altri della redazione del giornale. Il giornale cambiò nome in “La Difesa” e “Il nuovo Proletariato”, ma nel 1919 molti furono nuovamente arrestati e Faggi venne deportato in Italia[1].

Riprese l’attività sindacale guidando la fazione dell’USI favorevole alla fusione con la Confederazione Generale del Lavoro. Nel 1920, in seguito all’ondata di arresti di dirigenti dell’USI ordinati dal governo Giolitti (tra cui Errico MalatestaArmando Borghi e gran parte della redazione di Umanità Nova), il 13 novembre Angelo Faggi divenne temporaneamente segretario dell’organizzazione[2].

Il 15 maggio 1921 venne eletto deputato della XXVI legislatura per il Partito Socialista Italiano a Parma mentre era in prigionia denunciato per violenze nella campagna per Errico Malatesta, scatenando un grande dibattito interno all’area anarchica e rivoluzionaria sull’opportunità di andare in parlamento. Sempre nel 1921 da segretario della Camera del Lavoro di Sestri Ponente firmò un disperato ed infruttuoso tentativo di pace con i fascismo. Più volte vittima di aggressioni armate squadriste, a Piacenza organizzò la sezione locale degli Arditi del Popolo ed in seguito dovette fuggire in Francia.

Tornò in Italia dopo la Liberazione e riprese l’attività politica nel Partito Socialista Democratico Italiano, nelle cui fila nel 1956 venne eletto sindaco di Piacenza. Morì l’anno successivo all’età di 72 anni, seguito dalla moglie a poche ore di distanza.

[…]Il bisogno di consolidamento della direzione socialista e la mancanza di iniziativa politica della Confederazione, insieme col profondo contrasto ideologico che distingueva le due componenti, avevano condotto ad una neutralizzazione reciproca dei rapporti.  s-l300Tutti erano convinti della precarietà della situazione e della sua inevitabile evoluzione in un senso o nell’altro, ma nessuno aveva la capacità e la forza di intraprendere un’azione a fondo… Ma allorché nel novembre i sindacalisti decidevano di staccarsi definitivamente dalla Confederazione per dar vita ad una loro distinta organizzazione nazionale, la realtà politica e le forze in giuoco venivano sensibilmente alterate, in quanto vi si introduceva un nuovo elemento sul quale e col quale si poteva giocare.   Né meno importante era un secondo avvenimento che si realizzava tra il novembre e il dicembre, cioè la nomina di Mussolini a direttore dell'<<Avanti!>>.

 

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Singolarmente questi due fenomeni venivano a convergere nel medesimo obiettivo, rompevano lo stato d’attesa e concorrevano nel far precipitare i complessi e delicati equilibri interni ed esterni dei gruppi dirigenti sindacali e politici.   I sindacalisti rivoluzionari si trovarono alle prese con il difficile compito di rafforzare la giovane organizzazione, e si muovevano in un ambiente se non ostile quanto meno distaccato e critico nei loro confronti ed erano perciò privi di ogni iniziativa politica.   Mussolini, invece, dalla nuova importante tribuna che era riuscito a farsi consegnare dai compagni della frazione, iniziava un’abile e complessa manovra politica, in parte collegata ad una sua personale strategia di potere, in parte frutto di una felicissima intuizione dell’evoluzione psicologica e politica delle masse proletarie e del loro atteggiamento nei confronti di tutti i centri istituzionali del movimento operaio, dalla C.G.d.L. allo stesso P.S.I..   Egli tendeva ad estromettere definitivamente i riformisti di sinistra da ogni influenza interna e da ogni condizionamento tattico e ideologico sulla direzione socialista, rendendo con ciò possibile una reale e integrale adesione del partito alle lotte sempre più profonde e tumultuose delle masse.   A tal fine puntava ad allargare i contatti e le alleanze con tutti quei gruppi, e quegli uomini che si muovevano alla sinistra delle correnti ufficiali del movimento socialista.    Quindi, in primo luogo, con l’U.S.I. .   Così, mentre avrebbe sconfitto i suoi più temibili avversari, i riformisti di sinistra, avrebbe acquisito un ruolo egemone, all’interno della stessa frazione rivoluzionaria, e  attraverso questa avrebbe ispirato e dominato tutto il P.S.I..   Il punto di saldatura delle due parti della sua strategia era fornito dall’esatta intuizione delle modificazioni intervenuto nell’atteggiamento politico delle masse operaie.

Era convincimento di Mussolini che queste stavano entrando in una fase di scontro diretto e frontale con la borghesia e che quindi si stava rafforzando con la loro forza combattiva, la coscienza del bisogno dell’unità di classe, al di sopra e al di là di ogni artificiosa e schematica suddivisione istituzionale.   Per questo, muovendo al ribaltamento dei rapporti di forza interni al partito e alla stessa direzione socialista, pur seguendo uno suo calcolo personale, egli tendeva anche conto di questi mutamenti oggettivi e psicologici.   Caratterizzava perciò la sua azione nei confronti del partito e della Confederazione in un duplice modo:   da un lato, non contestava apertamente il ruolo e le rispettive funzioni di queste due organizzazioni del proletariato; dall’altro però puntava – per ottenere sostanziale modificazione dell’indirizzo politico di entrambi – non tanto sulla coagulazione delle sole forze di opposizione interna ma sul collegamento di queste con le forze esterne; specie con quelle suscitate dai movimenti di massa, nelle quali anzi riponeva la sua maggior fiducia.   Lo stato di crisi e di degenerazioni delle istituzioni direttive del movimento operaio era così profondo, e queste apparivano così inadeguate alla fase della storia nazionale eccezionale e di acuta crisi, che solo l’azione direttiva delle masse e la loro pressione poteva sconvolgere i vecchi equilibri di potere e mettere tanto il partito che l’organizzazione sindacale in condizione di recuperare il loro ruolo direttivo.    Recependo appieno queste spinte e canalizzandole opportunamente verso i gruppi dirigenti socialisti e confederali, Mussolini pensava di affermarsi come leader incontrastato non di una combinazione tattica e trasformistica, ma della nuova fase della storia del movimento operaio.   E siccome nella sua concezione assegnava al sindacato un ruolo esclusivamente economicistico e quindi riformistico, era chiara la deduzione che l’interno movimento rivoluzionario di classe doveva ritrovare la sua guida nella rigenerata direzione del partito socialista.  […]pp.161

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