Oggi vi raccontiamo la testimonianza di Ferdinando Bianchi durante il periodo del fascismo. Cosa significava lavorare sotto il fascismo? Quante lotte sono state fatte per ottenere quello che oggi abbiamo? Una parentesi di storia che fa riflettere il lettore…
19 febbraio 1899 nasce a Ferrara Luciano Gottardi (Ferrara, 19 febbraio 1899 – Verona, 11 gennaio 1944) è stato un sindacalista e politico italiano.
Figlio di un piccolo agricoltore, partecipò alla Prima guerra mondiale nel genio telegrafisti, come soldato semplice, poi in cavalleria, col grado di sottotenente di complemento[1]. Diplomato in ragioneria, dopo il conflitto si iscrisse alla facoltà di scienze economiche e commerciali dell’Università di Trieste, ma non riuscì a terminare gli studi.
Entrò nel movimento fascista nel 1920, partecipò alla marcia su Roma e svolse una continua attività sindacale a Trieste, Bari, Roma, Como, Firenze, Treviso e Caltanissetta. Nel 1942 fu nominato presidente della società mineraria Carbonsarda e nel maggio 1943 divenne presidente della Confederazione di Lavoratori dell’Industria, titolo con il quale partecipò alla riunione del Gran Consiglio del 25 luglio, votando a favore dell’ordine del giorno Grandi (in seguito egli avrebbe motivato tale scelta spiegando che intendeva “sgravare il Duce da molte responsabilità”[2]).
Successivamente si pentì di questa decisione e nel settembre del 1943 chiese di potersi iscrivere al Partito Fascista Repubblicano, corredando la richiesta con una lunga lettera al segretario Alessandro Pavolini, nella quale ricordava le sue benemerenze fasciste[1]. Il 16 agosto Gottardi era stato sollevato dall’incarico confederale da Badoglio; tuttavia, non abbandonò Roma e agli inizi di ottobre, nonostante il tardivo pentimento, venne arrestato dalla banda Pollastrini – fu il primo tra i “traditori” ad essere catturato dai nazifascisti – e rinchiuso a Regina Coeli[1].
Processato dal tribunale di Verona insieme a Ciano, De Bono, Marinelli, Pareschi e Cianetti, venne condannato a morte. Fu fucilato nella città in cui si era svolta l’assise la mattina dell’11 gennaio 1944: le sue ultime parole furono “Viva l’Italia! Viva il Duce!”[3]. Durante tutta la detenzione, nel dibattimento e davanti al plotone d’esecuzione, Gottardi mantenne un contegno sereno e coraggioso[1].
[…] Quell’inverno dal ’44 al ’45 fu rigidissimo, venne la neve copiosa, 40 cm, non c’era legna per scaldarsi e io e Vanoni di notte andavamo a segare piccole piante nei campi e con quella legna verde ci scaldavamo, nel fumo. Dal carbonaio non era facile trovare la legna, eppure ricordo che gli alberi di Corso Francia e Corso Peschiera sparivano di notte e chi poteva farlo se non i fascisti, col coprifuoco?
In fabbrica si operava per sabotare la produzione aziendale nello stesso tempo in cui ci si adoperava per fornire i partigiani della Val Susa di materiale e di armi. La produzione aziendale era passata dai vecchi aerei usati nella guerra di Spagna, i CR 32 e i R 42 biplani da caccia, ai più moderni aeroplani, tipo G 50 e G 51, che dovevano servire alla guerra nazifascista. Certo che di tali nuovi aerei ne uscirono ben pochi efficienti perchè il sabotaggio era svolto in modo accurato e intelligente. Credo che l’unico aereo veramente funzionante sia stato quello che il nostro compagno pilota Agostani usò per trasportare il responsabile della cosiddetta organizzazione “Franchi”, al secolo Edgardo Sogno, che con uno stratagemma fu fatto salire sull’aereo nella pista, sotto gli occhi dei tedeschi esterrefatti, e portato in salvo nelle trincee alleate.
Lo stabilimento fu bombardato atrocemente (circa 400 bombe da 500 Kg) e parzialmente distrutto sul finire del 1944.
Intanto Mussolini, imprigionato il 25 luglio nella fortezza situata a Monte Gran Sasso, viene liberato dai tedeschi con la complicità dei generali italiani e mentre con la repressione criminale cerca di imporre il potere fascista all’ombra delle armi tedesche, cerca anche di darsi un volto nuovo proclamando la Repubblica Sociale e incita i lavoratori a eleggere nelle fabbriche le Commissioni Interne abolite nel ’24, con l’avvento del fascismo.
Si voleva in quel modo conquistare l’appoggio dei lavoratori, parlando di repubblica “sociale”, si cercava di allettare il popolo poiché sociale e socialismo potevano essere coniugati così come d’altra parte i nazisti tedeschi chiamarono il loro movimento reazionario con il nome di Nazionalsocialismo, proprio perchè ieri, come oggi, la parola socialismo, e quindi libertà-uguaglianza-fraternità, ha sempre avuto profondo eco e presa tra i popoli di tutti i paesi del mondo. Ma gli operai non si lasciarono ingannare: quando nel ’44 i fascisti indicono nelle fabbriche le elezioni di Commissione Interna i comitati antifascisti aziendali le boicottano e i lavoratori nella stragrande maggioranza non vanno a votare.
All’Aeronautica si fa un tentativo diverso, avendo alcuni operai arrestati dai fascisti per i moti dell’inizio 1944 si indica ad alcuni centinaia di lavoratori di votare i nomi di costoro, me ne ricordo solo uno, certo Roncaglione che viene eletto assieme agli altri e i fascisti li scarcerano per dimostrare la loro buona volontà, ma tutto finisce lì perchè quella CI non avrà alcuna funzione in quanto il potere sindacale e politico in fabbrica e nelle mani del Comitato di agitazione antifascista e del Cln di fabbrica, mentre sul piano militare e nel rapporto con i partigiani opera la Sap organo del Cln.
Sono questi organismi che all’Aeronautica, come in tutte le altre fabbriche, preparano lo sciopero insurrezionale del 18 aprile ’45, la fabbrica non produce ormai più aerei, ma lavora per altre aziende della Fiat dopo aver provveduto a riassettare alcuni reparti a tale scopo. Nel mio reparto produciamo serbatoi per autocarri, ma molto blandamente. Non c’è lavoro per tutti e un migliaio di lavoratori viene posto in cassa integrazione, tra cui il sottoscritto. La fabbrica viene riorganizzata e anche gli organismi nostri devono sostituire con altre forze i vuoti determinati dalle sospensioni. Quando viene lanciata la parola d’ordine dello sciopero insurrezionale per il 18, come ad un segnale generale anche i lavoratori sospesi convergono nella fabbrica e alle 10 ci muoviamo in corteo verso Piazza Sabotino in Borgo San Paolo luogo dove convergono tutte le aziende della zona. C’è un posto di blocco in Corso Francia a fianco della fabbrica, ma il corteo si muovo ignorandolo e i nazifascisti del blocco rintanano dentro. Il corteo composto di alcune migliaia di lavoratori, scende lungo Corso Francia e poi in Corso Peschiera, via via ingrossandosi per l’afflusso di lavoratori dalla varie fabbriche. In Piazza Sabotino c’è già stata una sparatoria: i fascisti avevano reagito alle prime avanguardie operaie arrivate sulla piazza, ma con l’arrivo di migliaia e migliaia di lavoratori i fascisti si dileguano. Le Sap armate sorvegliano ai fianchi il corteo: io ero stato collocato in coda al nostro, ma non ho dovuto far null’altro che controllarne l’andamento.
Lo sciopero riesce grandioso in tutte le fabbriche e si prepara così il giorno atteso dell’insurrezione. Il 24 aprile è un giorno di eccitazione diffusa, si sente nell’aria che sta maturando qualche cosa, che il momento è giunto. In Corso Francia c’è un bar all’altezza di Corso Peschiera, e un gruppo di giovani stanno discutendo eccitati, quando passa un fascista conosciuto in bicicletta, è riconosciuto e un giovano che conoscevo, io non c’ero quella sera, d’impulso gli si muove contro con decisione, non sa forse nemmeno lui perchè, ma il fascista estrae la pistola e lo fulmina,. E’ la prima vittima dell’insurrezione. […] pp.34
Disponibile presso la BIBLIOTECA NAZIONALE UIL ARTURO CHIARI