1 marzo 2002
[…] La politica della concorrenza può essere vista da un lato come una delle funzioni di <<regolazione>> dei mercati, volta a farli funzionare in modo più soddisfacente nell’interesse del consumatore ma anche nel vero interesse delle migliori imprese, almeno al di là del periodo breve. Può anche essere vista come una azione <<in negativo>>, volta a limitare gli eccessi protezionistici delle politiche nazionali, ma qualche volta anche come un vero e proprio bastone tra le ruote delle politiche industriali di ristrutturazione operate dai governi nazionali, o dalla stessa Commissione, o delle strategie di crescita e aggregazione perseguite dalle imprese.
Sono portato a considerare che il primo aspetto, positivo, sia oggi prevalentemente sul secondo, negativo, osservando come le situazioni di tipo monopolistico che per vari motivi si sono create soprattutto nell’area pubblica presentino una decrescente giustificazione ma anche una grande resistenza al cambiamento.
Le origini dei monopoli sono diverse. Può trattarsi di validissime ragioni tecniche (di monopolio naturale) che però con il crescere dei mercati e con l’evoluzione tecnologica vengono meno, come è vero almeno in parte nei casi dei trasporti aerei e delle telecomunicazioni. Può trattarsi di esiti di una lotta per il controllo del mercato tra privati o di un conflitto di potere tra pubblico e privato. Può trattarsi di ragioni antiche, ormai difficili persino da capire, come nel caso del venerando monopolio italiano del sale e dei tabacchi, che venne smantellato proprio per l’azione della Comunità.
In ogni caso le posizioni di restrizione al commercio, una volta stabilite, si incrostano con la complicità di porzione strategica dell’apparato pubblico di controllo. Chi dovrebbe garantire l’interesse generale a fronte di un potere concentrato finisce di solito, come è ben noto, per solidarizzare con lo stesso operatore che dovrebbe controllare. A volte la stessa distinzione tra operatore e controllore non dà luogo ad una vera e propria separazione di organi, come in genere nel caso degli ordini professionali, ma anche nel caso delle telecomunicazioni in Italia.
Possono essere assimilate a questa fattispecie certa incrostate solidarietà che legano da un lato un grande centro di domanda pubblica, quale un ente ferroviario o elettrico o di telecomunicazioni o una porzione della stessa amministrazione pubblica centrale o locale, dall’altro il gruppo consolidato dei suoi fornitori abituati ormai alla prassi delle assegnazioni controllate da meccanismi di spartizione e di protezione.
Situazioni del genere sono diffuse, importanti, sempre più costose per lo sviluppo economico oltre che, talvolta, anche per la crescita civile e per il corretto svolgimento dell’attività politica. E’ difficile vederne un deciso smantellamento ad opera di un sistema politico-amministrativo come quello italiano, che non sembra incline a generare ondate di privatizzazione <<ideologica>> nel quadro di politiche neoliberiste (e non me ne lamento proprio, perchè quelle politiche presentano costi elevati su altri versanti), e sembra invece piuttosto avviluppato nella rete degli stessi interessi che dovrebbe combattere.
In questo particolare senso oggi l’Europa comunitaria presenta, specie per l’Italia, un elemento di possibile convenienza. Naturalmente l’esito dipende molto dal modo nel quale l’azione per la concorrenza verrà condotta in sede comunitaria e dal modo nel quale a livello nazionale sarà possibile costruire un ragionevole gioco di sponda. Non si tratta solo di deregolamentare, ma in molti casi anche di regolamentare. Dall’azione comunitaria il governo italiano è stato indotto non solo a rompere il monopolio del sale, ma a introdurre il brevetto dei farmaci; sarà indotto non solo a liberalizzare il trasporto aereo, ma a introdurre norme sulla certificazione dei bilanci consolidati di impresa e norme a tutela dell’ambiente, cui il nostro paese da solo sarebbe arrivato solo un ritardo di molti anni. […]pp.189
Disponibile presso la BIBLIOTECA NAZIONALE UIL ARTURO CHIARI