19 luglio 1992 in Via Giovanni D’Amelio viene ucciso il giudice antimafia Paolo Borsellino.L’autobomba collocata nei pressi della casa della madre, uccide anche i cinque agenti della sua scorta.
[…]L’emozione che scosse il Paese dopo l’omicidio del prefetto Dalla Chiesa ebbe l’effetto di risvegliare una forte reazione tra la gente. A Palermo si formarono circoli e comitati antimafia. Il nuovo sindaco, Leoluca Orlando, diede impulso alla lotta per la legalità.
La città fu attraversata da cortei e fiaccolate antimafia. Alle finestre furono esposti lenzuoli, in segno di protesta contro i soprusi e le violenze di Cosa Nostra. Si scosse, finalmente, anche il Parlamento: fu approvata una legge (detta Rognoni-La Torre) che introdusse per la prima volta (con l’articolo 416 bis del codice penale) il reato di associazione mafiosa e la possibilità di sequestrare i beni acquisiti con mezzi illeciti dalle organizzazioni criminali.
Si svilupparono anche efficaci indagini giudiziarie. Il giudice Rocco Chinnici, prima di essere ucciso, aveva affidato a un magistrato proveniente dalla Sezione fallimentare del Tribunale di Palermo, di nome Giovanni Falcone, un processo per traffico di stupefacenti. Falcone lavorò a lungo e riuscì a ricostruire il percorso (Sicilia- Stati Uniti) dell’eroina (Stati Uniti-Sicilia) del denaro con cui la droga era pagata.
Le indagini furono, per la prima volta, condotte collettivamente da un gruppo di magistrati, il cosiddetto <<pool antimafia>> di Palermo, composto da Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta, sotto la guida del consigliere istruttore Anonino Caponnetto. Da quelle indagini scaturirà il cosiddetto <<maxiprocesso>> a Cosa Nostra.
Nel 1984 un esponente della mafia <<perdente>>, Tommaso Buscetta, dopo che i Corleonesi avevano sterminato i suoi soci, i suoi amici e molti dei suoi parenti, decise di svelare a Giovanni Falcone i segreti di Cosa Nostra: per la prima volta l’organizzazione mafiosa fu raccontata in modo organico dall’interno, da uno dei protagonisti. Sulle basi delle dichiarazioni di Buscetta furono emessi 366 mandati di cattura. Dopo Buscetta, cominciò a collaborare con Falcone anche Salvatore Contorno, uomo di Stefano Bontare. Sulla base delle sue rivelazioni furono emessi 127 mandati di cattura.
Il 3 novembre 1984 venne arrestato, con l’accusa di associazione mafiosa e su mandato di Giovanni Falcone, l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, Pochi giorni dopo, il 12 novembre, Falcone ordinò l’arresto di Nino e Ignazio Salvo, due tra gli uomini più potenti dell’isola, esattori delle tasse in Sicilia per contro dello Stato. L’accusa era di essere stati cerniera di Cosa Nostra e il mondo della politica e degli affari.
Il 10 febbraio 1986 si aprì nell’aula bunker del carcere palermitano dell’Acciarone il <<maxiprocesso>> a Cosa Nostra: il pool di Caponnetto, Falcone e Borsellino era riuscito a mandare a giudizio 475 imputati, anche se 117 erano latitanti. il 16 dicembre dell’anno successivo, la sentenza di primo grado accolse nella sostanza la richiesta dell’accusa: 19 ergastoli, 2.665 anni di reclusione, 11 miliardi e mezzo di multe.
I <<PROFESSIONISTI DELL’ANTIMAFIA>>. Ma ancora una volta, a una fase di reazione dello Stato segui una fase di disimpegno e distrazione. Tra il 1987 e il 1992 la mafia realizzò la sua <<terza modernizzazione>>: entrò nei grandi mercati finanziari, investendovi il denaro ricavato con la gestione degli appalti pubblici, le estorsioni, i traffici di droga, il commercio di armi.
Intanto però, chiuso il <<maxiprocesso>>, le istituzioni e l’opinione pubblica abbassarono il livello di attenzione alla criminalità organizzata.
Nel 1987 prese l’avvio una campagna di stampa contro i <<professionisti dell’antimafia>>, cioè personaggi come il giudice Paolo Borsellino o il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, accusati di fare carriera grazie alla lotta contro la criminalità.
Cominciarono le prime campagne contro i <<pentiti>>, cioè i collaboratori processuali: benché questi minassero dall’interno le organizzazioni criminali, permettendo di infliggere loro colpi durissimi, presero a essere accusati, in generale, di inattendibilità.
Questa fase difficilissima e intricata della storia italiana coincise con la sconfitta di Giovanni Falcone. Nel 1988, il Consiglio superiore della magistratura (Csm), l’organo di autogoverno dei giudici, si trovò a dover decidere chi, dopo Caponnetto, dovesse guidare l’Ufficio Istruzione di Palermo: bocciò la candidatura di Falcone, a cui preferì Antonino Melil, che poteva vantare una maggiore anzianità di servizio. Meli, una volta insediato, distrusse il pool antimafia e polverizzò le inchieste (divise il processo Calderone in ben dodici diverse Procure siciliane, non riconoscendo l’unitarietà dell’organizzazione di Cosa Nostra).
Quando, il 16 luglio 1988, Borsellino denunciò pubblicamente in un intervista lo smaltimento del pool antimafia di Palermo e la <<caduta di tensione>> nella lotta a Cosa Nostra, il Csm reagì aprendo un inchiesta su Borsellino.
E Falcone fu costretto a subire un ulteriore bocciatura: il governo gli preferì Domenico Sica come Alto Commissario antimafia. Intanto il 13 aprile, il democristiano Antonio Gava, già criticato per i suoi presunti rapporti con la Camorra napoletana, era diventato ministro dell’Interno.
Nell’estate 1989, <<estate dei veleni>> a cui seguiranno tante altre <<estati dei veleni>> cominciarono a circolare lettere anonime (l’autore, rimasto sconosciuto, fu chiamato <<il Corvo>>) che accusava Falcone e altri magistrati e poliziotti di gravi scorrettezze.
In quella estate, il 20 giugno, un agente scoprì una bomba davanti alla casa affittata da Falcone al mare dell’Addaura, nei pressi di Palermo, In quei giorni il giudice stava indagando con due colleghi elvetici sui canali di riciclaggio della mafia in Svizzera. […]
Tratto dal libro “Conviene essere onesti? (cose nostre e cose loro)” di Baccassini, Camilleri, Cherubini, La Licata, Padovani pp.71
Disponile presso la Biblioteca Nazionale UIL Arturo Chiari