16 ottobre 1943 – Le truppe naziste, al comando di Kappler, rastrellano nel ghetto di Roma, a Portico D’Ottavia e in altre zone della capitale, 1259 persone di cui 207 sono bambini.
[…] A nulla valsero le proteste dell’Almansi e del Foà. Alla domanda se le misure minacciate riguardassero solo gli ebrei iscritti alla Comunità o anche i dissociati, i battezzati, i <<misti>>, Kappler rispose secco: <<Io non faccio distinzione tra ebreo ed ebreo. Iscritti alla Comunità o dissociati, battezzati o misti, tutti coloro cui nelle vene scorre una goccia di sangue ebraico sono per me uguali. Sono tutti nemici.>>.
L’unica concessione che fece fu sul pagamento: oltre all’oro si disse pronto ad accettare sterline e dollari, non però lire italiane: <<della vostra moneta non so che farmene, posso stamparne da me quanta ne voglio>>. Finito il colloquio con Kappler, i due presidenti cercarono di convincere le autorità di polizia italiane ad interporre i loro buoni offici: né la direzione generale di PS, né la questura, né la Demografia e Razza vollero occuparsi della cosa. Ebbe allora subito inizio affannosamente la raccolta dell’oro. Si cercò di informare quanti più ebrei possibile, fu sparsa la voce nella città. In un primo tempo, temendo di non poter fare in tempo a raccogliere tutto il quantitativo richiesto d’oro, fu deciso di comprarne (fu questa l’unica forma di cooperazione prestata dalle autorità italiane, che – essendo l’acquisto dell’oro vietato – lo autorizzarono) e uno dei promotori della raccolta, Renzo Levi, fece un sondaggio presso il viceabate del convento del Sacro Cuore padre Borsarelli per sapere se, qualora non fosse stato possibile raccogliere in tempo tutto il quantitativo richiesto, la Santa Sede sarebbe stata disposta a prestare la differenza. A questo sondaggio la Santa Sede rispose facendo sapere di essere disposta a dare l’oro che fosse eventualmente mancato e che la Comunità non si preoccupasse per la restituzione, che sarebbe potuta avvenire senza fretta quando fosse stata in gradi di farlo. In realtà però dell’aiuto della Santa Sede non vi fu bisogno. All’appello della Comunità centinaia di ebrei e anche alcuni non ebrei e tra essi alcuni sacerdoti risposero con slancio. Allo scadere del tempo concesso dai nazisti erano stati raccolti quasi ottanta chili d’oro (la differenza messa in salvo, fu nel dopoguerra versata per l’edificazione dello Stato d’Israele), in buona parte costituiti d’anelli, collanine e altri oggettini d’oro che costituivano tutto ciò che le povere famiglie del ghetto romano possedevano (non mancarono però anche offerte più cospicue). L’oro così raccolto fu il 28 settembre portato a Via Tasso. Su richiesta dell’Unione la polizia italiana concesse una scorta per il trasporto e alla consegna partecipò anche il commissario Cappa della Demografia e Razza che, però, intervenne in borghese e mescolato agli uomini di fatica che portavano le cassette con l’oro. Al momento della pesatura dell’oro – fatta a cinque chili alla volta – i tedeschi e per essi un certo capitano Schutz cercarono di ingannare sul peso e di asserire che l’oro ammontava a 45 chilogrammi e 300 e non a 50 chilogrammi e 300: solo grazie alle vive proteste dell’Almansi e del Foà alla fine riconobbero che il quantitativo era giusto; si rifiutarono però di rilasciare qualsiasi ricevuta dell’avvenuta consegna.
Ottenuto l’oro i tedeschi misero subito in atto la seconda parte del loro piano criminoso. La mattina del 29, il giorno dopo cioè di quello della consegna dell’oro, essi bloccarono infatti i locali della Comunità e un gruppo di ufficiali esperti nella lingua ebraica procedettero ad una minuziosa perquisizione dei suoi locali. Dalla cassaforte furono asportati 2.021.540 lire che vi erano conservate; furono altresì asportati tutti i documenti. Nei giorni successivi, sino al 13 ottobre, i tedeschi tornarono a più riprese alla sinagoga e alla Comutià, cercando avere notizie sugli ebrei più ricchi ed esaminando la preziosa biblioteca. Temendo giustamente che i tedeschi mirassero ai libri – un complesso di gradissimo valore storico e commerciale – l’11 ottobre l’Unione Almansi avvertì del pericolo la Direzione generale delle biblioteche e il ministero dell’Interno (Direzione generale dei Culti, Direzione generale di PS, Direzione dell’amministrazione civile), senza che per altro nessuno intervenisse a salvare quel preziosissimo patrimonio. Così il 13 ottobre i tedeschi – ripresentatesi in forze – poterono indisturbati impadronirsi di tutti i libri della Comunità e del collegio rabbinico. Conclusa la spoliazione delle cose i tedeschi passarono quindi all’ultima fase del piano, affidata questa volta non già a Kappler e all’esercito, che anzi si oppose, pare, ad essa, ma a tre speciali compagnie di polizia fatte affluire a Roma per l’occasione e alle dirette dipendenze del capitano T. Dannecker, uno dei più feroci collaboratori di Eichmann.
Il 16 ottobre all’alba la polizia tedesca circondò il ghetto e prelevò sistematicamente tutti gli ebrei che vi vivevano, senza risparmiare nessuno.
<<Né di sesso, né l’età, né la malferma salute, né benemerenze di sorta furono di scudo a questo barbaro agire: vecchi, bambini, malati gravi, moribondi, donne incinte e puerpere appena sgravate, tutti furono egualmente prelevati>>. Armi alla mano e sulla base di precisi elenchi nominativi, i tedeschi perquisirono tutte le case del ghetto, mentre altri facevano irruzione anche in molte abitazioni fuori di esso, sparse nella città. <<Per tutta la mattinata dilagò per Roma l’ondata di terrore e di angoscia che seguiva i neri sinistri veicoli della razzia>>. Ecco come la razzia fu descritta nel rapporto ufficiale inviato, a firma di Kappler, via radio al generale delle SS Wolff a Roma:
Oggi è stata iniziata l’azione antigiudaica seguendo un piano preparato in ufficio che consentisse di sfruttare le maggiori eventualità. Sono state messe in azione tutte le forze a disposizione della polizia di sicurezza e di ordine. In vista della assoluta sfiducia della polizia italiana, per una simile azione, non è stato possibile chiamarla a partecipare. Perciò sono stati possibili singoli arresti con 26 azioni di quartiere in immediata successione. Non è stato possibile isolare completamente le strade, sia per tener conto del carattere di Città Aperta sia, e soprattutto per l’insufficiente quantità di poliziotti tedeschi in numero di 365. Malgrado ciò nel corso dell’azione che durò dalle ore 5,30 fino alle 14,00 vennero arrestati in abitazioni giudee 1259 individui, e accompagnati nel centro di raccolta della Scuola Militare. Dopo la liberazione dei meticci e degli stranieri (compreso un cittadino vaticano), delle famiglie di matrimoni misti compreso il coniuge ebreo, del personale di casa ariano e dei subaffittuari, rimasero presi 1007 Giudei. Il trasporto fissato per lunedì 18 ottobre ore 9.
Accompagnamento di 30 uomini della polizia di ordine. Comportamento della popolazione italiana chiaramente di resistenza passiva; che in un gran numero di casi singoli si è mutata in prestazioni di aiuto attivo.
Per es. in un caso, i poliziotti vennero fermati alla porta di un’abitazione da una fascista in camicia nero, con un documento ufficiale, il quale senza dubbio si era sostituito nella abitazione giudea usandola come propria un’ora prima dell’arrivo della forza tedesca.
Si poterono osservare chiaramente anche dei tentativi di nascondere i giudei in abitazioni vicine, all’irrompere della forza germanica ed è comprensibile che, in parecchi casi, questi tentativi abbiano avuto successo. Durante l’azione non è apparso segno di partecipazione della parte antisemita della popolazione: ma solo una massa amorfa che in qualche caso singolo ha anche cercato di separare la forza dai giudei.
In nessun caso si è fatto uso di armi da fuoco. […]pp.455