“10 ottobre 1990 chiusa l’esperienza con il Partito Comunista Achille Occhetto presenta il nuovo nome e il nuovo simbolo del nascente PDS, all’interno del nuovo simbolo costituito da una quercia, conserva l’emblema comunista di falce e martello”

[…]All’interno del PCI, e nei suoi immediati dintorni, le polemiche fra tradizionalisti e “iconoclasti” raggiungono, in alcuni casi, punte aspre.   Può sembrare strano, ma – a un passo dal crollo dell’interno organismo – Togliatti ne rappresentava ancora un nervo scoperto; o, almeno, può dare questa impressione. Protesta in maniera esplicita Giancarlo Pajetta, che bolla l’iniziativa dell<<Unità>> come un <<errore imperdonabile>> e un favore fatto <<a chi vuol metterci nell’angolo>>.   Fa capire il suo dissenso Emanuele Macaluso con una parafrasi storica: <<Se guardiamo agli sviluppi della società in Occidente, dico che Togliatti vide bene>>. Nilde Jotti non nomina lo storico segretario, ma fa una dichiarazione nella quali i giornali leggono una certa impazienza verso le pretese innovatrici dell’attuale leader-ship: <<Dicono che siamo cambiati o che stiamo cambiando, ma ventun anni fa, quando i carri armati del patto di Varsavia invasero la Cecoslovacchia, il PCI assunse una posizione. E quella rimase e rimane ancora oggi>>. Quanto ad Antonello Trombadori, ha già pubblicato con lieve anticipo sull’anniversario togliattiano, e quindi prima dell’attacco di De Giovanni, un lungo articolo sul <<Giorno>>.

Si tratta – dopo un generico accenno alle <<sciocchezze cui si fa ricorso>> parlando di Togliatti – di una serrata difesa del pensiero del vecchio leader, che l’autore accosta a quello di Croce, e dalla sua azione politica sostanzialmente neoriformistica. Pur fra tante contraddizioni, legate al tempo,  Togliatti nutriva <<un potenziale radicale bisogno di revisionismo>> che non fece in tempo a esprimere.

Dalle colonne del <<manifesto>> arriva – sul tema di Togliatti – un dissenso severo dalle posizioni dei nuovi dirigenti del PCI. Rossana Rossanda le trova <<insieme reticenti e strumentali>>. E spiega : <<Reticenti perché, se si vuole andare ad una critica radicale del marxismo come strumento ancora utile – ad aggiornamenti fatti – di analisi della situazione capitalistica e come credibile ipotesi di trasformazione, va fatto senza perifrasi>>. Se di questo patrimonio <<occorre liberarsi in nome di ‘nuovi ideali di tolleranza, democrazia e pace’, non si riduca quello che è stato lo scontro del secolo alla duplicità della cultura>> di un uomo <<‘nel fango’ prima del 1945 e quando mirava all’URSS, e folgorato dalla grazia quando guardò all’Italia>> […] 

[…]Massimo Cacciari non è d’accordo su una liquidazione frettolosa di quel Togliatti, che, nel dopoguerra, fece diventare il PCI un grande partito nazionale, realizzando <<un capolavoro di arte politica, di autentico machiavellismo>>. Comunque, <<i problemi di oggi sono ben altri dal fare i conti con i cadaveri  più o meno nobili nell’armadio. No, non mi interessa cosa i dirigenti del PCI dicono dei loro padri ma ciò che dicono di noi stessi>> Dichiarino <<con chi vogliono governare, precisino le loro posizioni sul fisco, sull’ambiente, sull’Europa>>. Per Cacciari, comunque, <<il PCI di Occhetto è fuori della tradizione di Berlinguer ben più di quella di Togliatti, avendo ripudiato il disegno di conciliazione>>. […[ pp.381

 

Disponibile presso la Biblioteca Nazionale UIL Arturo Chiari