Giacomo Matteotti (Fratta Polesine, 22 maggio 1885 – Roma, 10 giugno 1924) è stato un politico, giornalista e antifascista italiano, segretario del Partito Socialista Unitario, formazione nata da una scissione del Partito Socialista Italiano.
Fu rapito e assassinato da una squadra fascista capeggiata da Amerigo Dumini probabilmente per volontà esplicita di Benito Mussolini, a causa delle sue denunce dei brogli elettorali attuati dalla nascente dittatura nelle elezioni del 6 aprile 1924, e delle sue indagini sulla corruzione del governo, in particolare nella vicenda delle tangenti della concessione petrolifera alla Sinclair Oil. Matteotti, nel giorno del suo omicidio (10 giugno) avrebbe dovuto infatti presentare un nuovo discorso alla Camera dei deputati – dopo quello sui brogli del 30 maggio – in cui avrebbe rivelato le sue scoperte riguardanti lo scandalo finanziario coinvolgente anche Arnaldo Mussolini, fratello del Duce.
Il corpo di Matteotti fu ritrovato circa due mesi dopo, dal brigadiere Ovidio Caratelli.
Tratto dal libro “Matteotti” di Pietro Gobetti
[…]Il 2 maggio 1915, tre giorni prima della sagra dannunziana di Quarto, ci fu a Rovigo un comizio contro la guerra, oratori il dotto Giacomo Matteotti e Aldo Parini che vi sostenne, esempio unico in una pubblica riunione, la tesi missiroliana della Germania democratica. Invece di un discoros si ebbe un dialogo con la folla, scontrosa e diffidente per gli oratori. Matteotti parlava contro la violenza con un linguaggio da cristiano: nella folla fremevano fascisticamente spiriti di dannunzianismo e di piccolo cinismo machiavellico.
Difendere la nuetralità poteva essere la difesa di un errore: Matteotti parlò contro la guerra. Lo interrompevano in dialogo acre ma si dovevano riconoscere di fronte una fede invece di un progetto.
Quel giorno Matteotti previde la guerra lunga, difficile, disastrosa anche per i vincitori; e portò la sua tesi in sede metafisica: inutilità della guerra, facendosi tollerare da una generazione nietzscheana per la severità della sua solitudine.
Ripeté il suo discorso , quando non c’era più pacifista che parlasse, a guerra iniziata, al Consiglio Provinciale di Rovigo. Processato per disfattismo, condannato in ripetute istanze, trattò da sé la sua causa in modo radicale, senza rinnegare nulla del suo atto, anzi ostinandosi a farne riconoscere la legittimità. La protesta contro la guerra come violenza non era disfattismo, ma un atto di fede ideale: bisogna saper vedere in Matteotti un giurista , economista, amministratore, uomo pratico, queste pregiudiziali di disperata utopia , di assoluto idealismo, di reazione assurda contro la grettezza filistea dei falsi realisti. Sicuro come un apostolo, Matteotti si fece assolvere in Cassazione sostenendo la tesi dell’immunità dell’oratore in sede di Consiglio Provinciale.[…]PP.5