– di Roberto Campo –
Due tappe emblematiche del declino del sindacalismo americano:
- il disastroso sciopero dei controllori di volo (1981);
- la crociata del Governatore Scott Walker per ridurre il potere del sindacato nel settore pubblico del Wisconsin (2011).
Il sindacato dei controllori di volo fallisce uno sciopero e perde tutto (1981)
Tra il sindacato PATCO (Professional Air Traffic Controllers Organization) e l’amministrazione Carter ci fu uno scontro così duro che il sindacato fece votare per Reagan (che aveva trascorsi sindacali e ai controllori di volo fece un po’ di promesse). Robert Poli era il presidente di PATCO. La piattaforma PATCO 1981 era obbiettivamente esagerata: aumenti del 27% del salario; 1.5% di incremento per ogni 1% in più di inflazione; settimana di 4 giorni. L’amministrazione Reagan dapprima spinse per un accordo. Il voto per lo sciopero andò male; Poli accettò l’accordo, che non soddisfaceva adeguatamente la piattaforma; l’accordo venne bocciato; Poli divenne inaffidabile per la controparte.
PATCO, abituato a vincere, non pensa che questa volta potrebbe perdere. Inoltre, commette l’errore di dare per scontato che la partita l’avrebbe giocata la FAA, amministrazione federale per il volo, e non la Presidenza. Reagan si schiera contro i controllori di volo, minaccia i licenziamenti e conquista l’opinione pubblica.
Critiche AFL-CIO a PATCO: azioni illegali da lavoratori molto ben pagati contro un Presidente popolare … Il segretario dei trasporti critica Poli; i piloti si mettono contro i controllori. La sconfitta di PATCO deprime tutto il sindacato e galvanizza gli imprenditori, con l’emergere di forme di militanza manageriale, anti-sindacato. Prima della sconfitta di PATCO, i sindacati erano considerati invincibili.
Anni ’80: va tutto storto per il movimento dei lavoratori. 1983: sconfitti i minatori del rame, la Phelps Dodge Corporation rimpiazza gli scioperanti; poi, altra batosta nel legno; poi ancora alla Greyhound. Un’ondata di sconfitte devastanti per i sindacati.
Gli shock petroliferi 1973 e 1979: il petrolio balza da 3 a 31 dollari al barile. Inflazione; deficit commerciale; declino della produttività; disoccupazione crescente; la devastazione del Mid-West; la Rust Belt; i tagli nell’acciaio e nell’auto (auto: 760mila addetti nel 1978, 490mila nel 1980).
Sacrifici UAW per salvare Chrysler (sacrifici anche in Ford e GM, nonostante meno in difficoltà di Chrysler); la rinuncia al premio GM di fine anno (che aveva negoziato Walter Reuther): ma così si rompe il legame salario-produttività. La competizione con Europa e Giappone cambiò la possibilità delle fabbriche USA di auto di corrispondere alti salari. Arriva la deregolazione. Impossibile competere sui costi: epidemia di chiusure e tagli salariali.
Greenhouse riporta uno scambio di battute tra Reuther e un dirigente Ford sull’automazione: “i robot non si iscrivono al sindacato”, commenta il dirigente; “ma nemmeno comprano le auto Ford”, replica il sindacalista. Il pareggio ottenuto nello scambio spiritoso non si ripete nella realtà. Nuove tecniche di macellazione comportano tagli di posti di lavoro e salari; i container abbattono i tempi e abbassano le qualifiche necessarie per scaricare una nave; la convenienza di localizzare l’impresa all’estero è stata resa possibile dalle tecnologie; ora tocca ai call center; il ricatto della delocalizzazione è diffuso, si veda ad esempio la GE (General Electric), che passa dalla filosofia dell’alleanza tra l’impresa e i lavoratori a quella con i soli azionisti.
La finanziarizzazione e la retribuzione dei manager in azioni hanno spinto la massimizzazione di profitti e azioni. Le sagge raccomandazioni della Business Roundtable, la Tavola Rotonda del Business, di non pensare solo agli azionisti, ma anche alla società e agli stakeholder, che guardano al lungo termine, sono state abbandonate nel 1997, quando la Business Roundtable ha cambiato musica e cominciato a seguire il verbo di Milton Friedman, secondo cui contano solo gli azionisti: fine della nozione di bene comune.
L’assalto ai sindacati del settore pubblico: Wisconsin 2011
Il governatore del Wisconsin, Scott Walker, va allo scontro con il sindacato del settore pubblico: si può negoziare esclusivamente sul salario, e non oltre l’inflazione. Grande movimento in risposta. Begli slogan: “United We Bargain, Divided We Beg” (uniti contrattiamo, divisi mendichiamo). E belle manifestazioni nel Wisconsin. Ma vince Walker.
La nuova legge aumenta i contributi previdenziali e sanitari a carico dei lavoratori e congela i loro salari per due anni. Impoverimento dei lavoratori pubblici. Niente più permessi sindacali retribuiti. La testimonianza di una sindacalista: “People ask: Why should I join the union? I struggle to answer that every day” (i lavoratori mi chiedono: perché mai dovrei iscrivermi al sindacato? Ogni giorno mi batto per rispondere a questa domanda). Reagan contro i controllori di volo è un modello per Walker.
Nel programma elettorale di Walker non c’era nulla da far presagire la sua lotta anti-sindacale. Poi, con la scusa di problemi di bilancio, l’attacco al sindacato per ridurne potere negoziale, finanze e potere politico. Niente più trattenute sindacali, niente più quote contrattuali. Votazione annuale sull’accettazione del sindacato. Contratti solo annuali. Quando Walker annuncia il suo piano, scatta l’immediata reazione degli insegnanti.
Il contratto collettivo nel settore pubblico cominciò proprio nel Wisconsin, nel 1959 (la legge dei tempi di Roosevelt valeva solo per il privato). Ora, dopo la sconfitta dei lavoratori del settore pubblico, il Wisconsin ha l’8,1% di densità sindacale, sotto la media nazionale. Walker riuscì a mettere contro privati e pubblici. Problemi per i sindacati non solo con gli Stati a guida repubblicana ma con la Corte Suprema: vedi la sentenza 2018 Janus contro AFSCME (favorevole al lavoratore che rifiuta di pagare la quota contrattuale).
Duro confronto tra chi riconosce le ragioni del sindacato che vuole evitare i free riders, i viaggiatori a sbafo, quelli che beneficiano del rinnovo contrattuale ma non riconoscono alcunché al sindacato, e dall’altra parte chi sostiene che i passeggeri sono dei dirottati, non dei “portoghesi”: due punti di vista opposti. Trump twitta soddisfatto per la sentenza. Dopo la sconfitta, Paul Spink, il nuovo presidente dell’AFSCME, parte alla riscossa. La sua strategia è parlare ai dipendenti pubblici e al tempo stesso al pubblico, evidenziando che se manca il sindacato dei lavoratori pubblici è male anche per il pubblico.
Gig Economy
La gig economy è basata su APP, come Uber. Un modo per andare oltre i padroni? In realtà, spesso questi lavori non remunerano né liberano, sono spesso solo un altro nome per lavori malpagati. Più che micro-imprenditori, micro-salari. Indipendenti spesso significa niente minimo di paga e niente straordinario, niente copertura sanitaria, niente ferie pagate, niente contributi. Lavoretti di traduzioni, per esempio: si finisce con il pagare il lavoro 2-3 $ l’ora … E i licenziamenti sono facili.
Greenhouse ci parla poi del lavoro in nero (moonlightning) nella gig economy. Ad esempio, quello per Mechanical Turk (di Amazon), ribattezzato MTurk, un servizio internet di crowdsourcing che permette ai programmatori informatici (i requester) di coordinare l’uso di intelligenze umane per eseguire compiti che i computer, a oggi, non sono in grado di fare. I requester chiedono ai turker di raggiungere obiettivi (HITs: human intelligence tasks).
Per esempio, identificare artisti in un CD, scegliere le foto migliori di un negozio; etc. Lavori spesso non pagati, e Amazon non interviene. Si è suggerito un rating dei requester per evitare ciò. Un turker ha paragonato il lavoro per MTurk agli sweatshop ottocenteschi, infime botteghe ad alto sfruttamento; altri evocano il lavoro domestico industriale nel tessile di 120 anni fa. I gig worker non si incontrano praticamente mai, non c’è un luogo, una gigosfera in cui incontrarsi.
C’è una enorme asimmetria di potere tra possessori delle piattaforme e lavoratori. Si possono immaginare camere sindacali virtuali (virtual union hall)? Non solo per sfogarsi, ma per individuare obiettivi comuni e usare strumenti come petizioni, codici di condotta, facendo vivere la Carta di Francoforte sul lavoro basato su piattaforma.
Uber
Uber abbassa unilateralmente le tariffe e alza le sue percentuali, aumenta il numero dei suoi tassisti … I suoi autisti non sono affatto indipendenti, ma dipendenti (con quello che deve significare in termini di sanità e previdenza).
Uber è la più grande piattaforma americana e dispone di 500mila autisti che, a differenza degli altri lavoratori della gig economy, non sono tra loro isolati. Da loro potrebbe venire un’esplosione organizzativa. Si avverte in Uber una voglia di sindacato …
UN’INVERSIONE DI TENDENZA?
Recenti inattesi successi:
- La lotta per i 15 $ l’ora (cominciata nel 2012);
- la Coalition of Immokalee Workers (raccolta del pomodoro in Florida);
- il successo della Culinary Workers Union Local 226 di Las Vegas (ristorazione);
- la partecipazione alla Kaiser Permanent;
- gli scioperi degli insegnanti del 2018;
- la Los Angeles Alliance for a New Economy;
- nuove realtà che si sindacalizzano.
La lotta per i 15 $ l’ora
Il SEIU (Service Employees International Union: sindacato dei settori salute, cura, servizi) ci provò una prima volta nel 2011, con la campagna Fight for a Fair Economy (lotta per un’economia giusta). Non andò bene, furono oscurati da Occupy e la sua retorica sulle diseguaglianze.
Al secondo tentativo, condotto dal SEIU insieme a un movimento di base, New York Communities for Change, si decide di provare a mobilitare i 65mila lavoratori dei fast food di New York (molti newyorchesi poveri sono impiegati nei fast food: paga bassa, niente carriera, licenziamenti facili). Da qui nacque la lotta per i 15 dollari (Fight for $ 15), che otterrà il raddoppio e più delle paghe minime. Un movimento dei lavoratori poveri, con una piattaforma essenziale: minimo 15 $ l’ora e il riconoscimento del sindacato (e pratica della trattenuta sindacale).
C’è una nuova voglia di sindacato. I pochi che sanno qualcosa del passato parlano di fare come il CIO del secolo scorso… C’è voglia di sciopero. Si parte all’attacco. Come sindacalizzare la McDonald? Unità per unità o tutta insieme?
Quale sciopero può funzionare? Non il tradizionale sciopero campale, senza limiti di tempo, ma scioperi di un giorno. Il primo sciopero alla McDonald: 29 novembre 2012. Epico come una lotta del passato, con le paure della vigilia, e poi il successo: come quello dei tessili di inizio Novecento!
Greenhouse racconta la storia di Adriana Alvarez e di come si impegnò nel movimento per i 15 $. Maltrattamenti, cazziate pubbliche, part-time involontario. Si decide per una petizione, ma non si ottiene l’incontro. Però la paga viene aumentata, per far cessare la lotta. Ci si batte per la malattia. Si subiscono riduzioni di orario come rappresaglia. Molestie sessuali diffuse.
Un licenziamento per rappresaglia, poi ritirato. Una dichiarazione significativa di un lavoratore: I don’t want to be in poverty forever (non voglio essere povero per sempre). Lo stereotipo sui lavoratori dei fast food descritti come studenti che vogliono guadagnare un piccolo budget, quando invece spesso sono padri e madri di famiglia che non ce la fanno a far quadrare i conti.
Cominciano i successi importanti. Seattle approva i 15 $: grandissima vittoria, 19 mesi dopo lo sciopero di New York. Seguono San Francisco (referendum vinto dai Sì: 77-23) e Los Angeles. Cuomo, governatore dello Stato di New York, istituisce un wage board, un tavolo sulle retribuzioni, e poi si schiera con i lavoratori in presenza di un rifiuto dell’azienda a negoziare. Il wage board diventa un sostituto della trattativa diretta. In California, la vittoria più grande.
La presidente di SEIU, Mary Kay Henry, sogna ad occhi aperti, felice: ciò che sembrava impossibile … Cede anche la Disney. E anche Amazon. È cominciato il cammino – questa la speranza – per trasformare il settore dei servizi nella prossima classe media, come Reuther fece per l’industria. Bello l’insegnamento che trae un lavoratore della Burger King di Kansas City: the one thing that works is boots on the ground, marching and organizing will never grow old (la sola cosa che funziona sono gli stivali sul terreno, marciare ed organizzare non diventerà mai obsoleto).
Le campagne di Immokalee, Florida: dal peggio al meglio
Quello della raccolta del pomodoro era un mondo comandato dai caporali. Soprattutto ad Immokalee, nella Contea di Collier, in Florida. Poi, nel 1993, nacque la CIW (Coalition of Immokalee Workers), non un classico sindacato, perché nel settore agricolo non ne sono previsti, ma un’organizzazione molto creativa che adottò un comportamento diverso da quello tipico dei sindacati, e puntò all’unione delle due voci, quella (debole) dei lavoratori e quella (forte) dei consumatori.
Anche in questo caso, dapprima i produttori rifiutarono di negoziare. La CIW allora prese di petto la Taco Bell, grande acquirente di pomodori della Florida, e partì con il boicottaggio. Richieste: un codice di condotta e un penny in più a libbra per i lavoratori. Scontro duro, intervenne anche Carter. Quattro anni dopo, l’accordo. Tocca alla McDonald, investita dalla Campaign for Fair Food (campagna per un cibo equo). Scende in campo anche il segretario generale della confederazione AFL-CIO, Sweeney. McDonald cede.
La CIW e quelli della campagna per il cibo equo si muovono sul piano privato, senza coinvolgere le istituzioni. Dopo la McDonald, è la volta di Burger King. Sembra una lotta dì altri tempi, con persino l’utilizzo da parte dell’azienda di una spia. Poi, però, cede anche Burger King. E arriva finalmente l’accordo con la Pacific Tomato Growers: si rompe il fronte dei produttori. Poi, firma Lipman, il produttore più grosso. Poi, vittoria su tutta la linea. Si definisce l’orario di lavoro. Meno cazziate pubbliche. Contrasto alle molestie. Le campagne di Immokalee passano dall’essere il peggio all’essere il meglio per i lavoratori.
La campagna per il cibo equo allarga il suo raggio. Si fa un nome la “sceriffa” e “giudice” Laura, pensionata, volontaria per Fair Food Program. Anche la Walmart, notoriamente anti-sindacale, accetta il programma Fair Food.
Il sindacato dei lavoratori della ristorazione: Culinary Workers Union Local 226, Las Vegas
Da studiare il caso di questo sindacato della ristorazione per i suoi straordinari successi. È un sindacato multietnico, tipo rank-and-file (di base), che forma i suoi quadri a partire dai posti di lavoro. Capace di muoversi anche sul piano politico, dove usa con grande efficacia il porta a porta (75mila elettori contattati nel 2016, un esercito che bussa alle porte per far registrare le persone agli elenchi elettorali). Vitale sconfiggere i candidati anti-sindacali.
Obiettivo: gli elettori riluttanti (sarà così che eleggeranno la prima donna ispanica al Senato). Organizzarsi attorno ai temi prima che ai candidati. L’importanza dell’ascolto. Ben il 95% dei lavoratori pagano la quota contrattuale nonostante la legge li esenti dal farlo. È passata l’idea che non rimani solo se c’è il sindacato.
L’apertura del Mirage a Las Vegas, 1989: il sindacato riesce ad entrare. Poi, lo scontro con Frontier, nel 1991: uno degli scioperi più lunghi, coronato da vittoria. Bene anche con MGM: si ottiene l’istituzione della commissione congiunta su tecnologia e posti di lavoro.
La Partecipazione alla Kaiser Permanent
Un gigante del settore salute. Buonissime relazioni industriali. Cooperazione management-sindacato. Ma non è sempre stato così. La KP è nata con i progetti di assistenza sanitaria anni ’30-’40. Negli anni ’90, sono arrivate le difficoltà, che l’azienda ha pensato di fronteggiare tagliando il personale.
La KP è diventate irriconoscibile, la famiglia si è rotta – dicevano i lavoratori. Sweeney (AFL-CIO) mette KP davanti a un bivio: guerra o partenariato nell’affrontare il ricollocamento dei lavoratori. KP sceglie la partecipazione (1997). Il pacchetto concordato: un anno di salario e formazione se la propria postazione di lavoro non c’è più. Uno dei migliori programmi di ricollocamento del Paese: 95% di successo. Gli infermieri criticano il partenariato vigente in KP per ragioni ideologiche, ma spesso si hanno più cose in comune con il management di quante dividano.
E in un quadro di partenariato, si possono ottenere importanti vittorie, come quella sul destino del laboratorio di ottica, che la KP voleva chiudere e che invece resterà aperto. La sfida del contratto di gruppo. Tra le soluzioni concordate, quella per l’assenteismo, basata sulla distinzione tra malattie lunghe e malattie brevi. Il commento di una lavoratrice della Kaiser Permanent, divenuta sindacalista: il partenariato è come il tuo matrimonio, devi badare che continui a funzionare.
Gli insegnanti prendono la febbre del #RedforEd
I sindacati degli insegnanti erano abituati a ottenere pochi risultati e a sviluppare molta conflittualità tra loro. Poi, qualcosa è cambiato, a partire dalla West Virginia, con un movimento indipendente dai sindacati. In West Virginia, i sindacati non stipulano il contratto collettivo ma fanno lobby per ottenere paghe più alte e calmierare il costo dell’assistenza sulla salute.
Da qui, lo slogan che riassume i loro obbiettivi: PAY and PEIA (Public Employees Insurance Agency). In questa mobilitazione, un ruolo importante ha avuto il libro di Jane McAlevey, No shortcuts: niente scorciatoie, non si può fare a meno di mobilitarsi. Un manuale che circola tra gli attivisti e stimola nuove idee per la lotta.
Viene aperta una pagina FB, la temperatura sale. Partono e-mail ai consiglieri. Cresce una voglia di sciopero. Si evoca la battaglia di Blair Mountain, West Virginia, del 1921, in cui più di diecimila minatori si batterono contro tremila unità delle forze dell’ordine rinforzate con agenti anti-sciopero in quella che è stata la più grande sollevazione dalla guerra civile. Ed ecco che il genio esce dalla lampada.
La mobilitazione cresce per gradi. Si comincia invitando gli insegnanti ad indossare qualcosa di color rosso. Da qui, il nome del movimento, #RedForEd, rosso-per-l’istruzione, che vuole unire insegnanti e studenti.
Perché il rosso: è stato detto che il riferimento era agli scuolabus, di colore rosso, oppure alle mele che tradizionalmente venivano donate agli insegnanti, oppure ancora alla matita rossa degli insegnati, ma i detrattori del movimento vi hanno visto la politicizzazione del movimento. Si raggiunge un primo accordo, che viene contestato. Poi, arriva la vittoria (2018): +5% di salario; un impegno sul PEIA. Il movimento cerca di non disperdersi, ma di restare organizzato.
Lo sciopero della West Virginia ha imitatori. In Oklahoma, 24mila membri del gruppo FB raggiunti in un giorno. Critiche salutari dalla base ai sindacati, che finalmente si decidono a muoversi. A differenza del caso della West Virginia, qui il rapporto con il sindacato c’è, anche se è quasi sempre polemico.
La governatrice dell’Oklahoma fa aperture, giudicate insufficienti. Ma il sindacato vuole mettere fine allo sciopero, il che provoca tensioni con la base. La delusione non provocò, però, l’abbandono della lotta, ma vide il movimento impegnarsi nelle più straordinarie primarie mai viste, che costarono il seggio a una dozzina di esponenti repubblicani.
È poi la volta di Phoenix, Arizona. Qui, il movimento, la cui sigla è AEU (Arizona Educators United), lavora insieme al sindacato, con qualche dissenso, ma il rapporto è funzionante.
Gli obiettivi: +20% di stipendio; ripristinare i tagli fatti alla scuola; niente più tagli alle tasse fino a che l’Arizona non raggiunge la spesa media per alunno. Uno slogan del movimento: I don’t want to strike, but I will (non voglio scioperare, ma lo farò).
Manifestazioni imponenti per l’Arizona. Aperture e fine sciopero (con polemiche), ma è un successo, con un governo repubblicano costretto a fare concessioni.
C’era il timore che con il sindacato di mezzo, gli amministratori repubblicani sarebbero stati meno disponibili, ma è risultato ben evidente che c’erano insegnanti repubblicani impegnati nella lotta.
L’importanza di Facebook in queste mobilitazioni: aiuta a vincere il fattore paura (che è più forte in Arizona che a Chicago); è più efficace dei delegati quanto a capillarità (ma se FB è ideale per mobilitare, poi per durare ci vogliono i sindacati). Il risultato di avere un movimento di massa organizzato è uno dei lasciti più importanti della lotta.
Da ricordare pure il movimento del 2019 a Los Angeles: partecipano anche i genitori; galvanizza persone in genere non partecipi. Obiettivi: per una scuola migliore, non solo per il contratto. Un successo.
Come Los Angeles divenne pro-Labor
L.A. era anti-sindacale. Poi venne messa in campo una coalizione senza precedenti per Los Angeles, La LAANE (Los Angeles Alliance for a new Economy), che divenne punto di riferimento per i lavoratori malpagati del privato. Con un gran ruolo giocato dagli immigrati, che contribuirono alla rivitalizzazione del sindacato.
Obbiettivo: eleggere politici che poi agiscano per i lavoratori. In questo ambito, si è realizzata la più grande sindacalizzazione dopo quella alla Ford nel 1941: il SEIU e gli home-care workers, cure domiciliari: 74mila (1999). La legge di Los Angeles sul minimo vitale: la più ampia, si applica anche ai sub-fornitori, e riguarda non solo il minimo ma anche l’assistenza sanitaria.
Nel 2014, la campagna per i 15.37 $ per i lavoratori degli hotel ($ 8 era il minimo di paga a L.A.). I lavoratori degli hotel erano in povertà: una leva contro la diseguaglianza reddituale. Uno slogan della LAANE sembra la versione californiana del sindacato dei cittadini: to improve people’s lives, it is necessary not just to help workers on workplace but to help assure them affordable housing, clean air and water, and much more (per migliorare la qualità della vita delle persone, è necessario non solo aiutare i lavoratori sul luogo di lavoro, ma assicurare loro case abbordabili, aria ed acqua pulite, e tanto altro).
In conclusione
Avranno i lavoratori americani voce in capitolo sul lavoro e in politica? In gioco, il futuro dell’economa americana e della democrazia americana.
Bisogna cambiare il sistema di finanziamento delle campagne politiche; i finanziamenti dal mondo degli affari sono 16 volte di più di quelli sindacali. Ci vorrebbe una riforma costituzionale per ridurre il peso di Big Money in politica, e più finanziamento.
Il 46% dei non sindacalizzati vorrebbe il sindacato: parliamo di 55 milioni di lavoratori, che potrebbero aggiungersi ai 14,8 milioni di già sindacalizzati. Si arriverebbe così a una potenziale densità sindacale del 44%, quando invece in realtà i sindacalizzati sono solo il 6,4% nel privato e il 10,5% in totale.
È troppo facile licenziare i sindacalisti, troppo tardi arrivano i risarcimenti; ci vorrebbero multe che fanno male; introdurre la giusta causa; equiparare i diritti dei lavoratori ai diritti civili.
L’articolo 18 dell’italiano Statuto dei Lavoratori non era poi così superato, e Steven Greenhouse invoca una norma contro la libertà di licenziare senza motivo: “one audacious proposal is to replace America’s at-will employment system (in which most workers can be fired for any cause, or no cause) with a rule that says workers can only be fired for “just cause” (una proposta audace è rimpiazzare il sistema americano del libero licenziamento – in virtù del quale la maggior parte dei lavoratori può essere licenziata per qualsivoglia motivo, o senza alcun motivo – con una regola che dica che i lavoratori possono essere licenziati solo per “giusta causa”).
Ma anche i sindacati devono migliorare se vogliono essere protagonisti di una riscossa del lavoro.
Maggior ricambio, più democrazia, migliore comunicazione, rivendicazioni materiali ma anche visione: una volta di più, bread and roses, il pane e le rose, per richiamare lo slogan associato allo sciopero delle lavoratrici tessili di Lawrence, Massachusetts, del 1912, e ai comizi di Rose Schneiderman: si lotta non solo per sopravvivere, ma per vivere.
Tra le storie di successo che Greenhouse racconta, c’è la vittoria del 2015 alla General Motors, con i lavoratori che ottengono l’abbandono da parte dell’azienda del two-tier system, la differenziazione contrattuale dei nuovi assunti dal resto dei dipendenti.
L’autore riporta il commento di una lavoratrice che ha partecipato alla lotta: “I don’t want to live in a world where there aren’t unions” (non voglio vivere in un mondo senza sindacato).
*** fine terza parte di tre – conclusione dell’articolo
NOTE:
Articolo pubblicato su Lavoro Italiano Dicembre 2019
[1] Steven Greenhouse, Beaten Down Worked Up – the Past, Present, and Future of American Labor (2019)