– di Roberto Campo

Nel Dopoguerra, i sindacati sono più forti; imprese e sindacati cominciano a considerarsi partner e non nemici mortali; si praticano forme di tripartitismo. Il personaggio di più grande spicco è Walter Reuther, che sarà anche un amico della UIL. Greenhouse lo definisce “costruttore della classe media”.

Walter Reuther era un dirigente della UAW, il sindacato dell’auto, e seguiva la General Motors. La sua impostazione andava oltre gli obiettivi salariali, ma puntava alla costruzione di un mondo migliore. Aveva idee socialiste e una visione confederale: “Vogliamo progredire insieme alla comunità e non a spese della comunità” e “ìl sindacato non si batte per una fetta più grande della torta nazionale ma per una torta più grande.” Per Barry Goldwater, Reuther era più pericoloso dello Sputnik.

Il sindacalista subì un pestaggio dalla polizia privata di Ford. Reuther denunciava la politica di massimizzazione dei profitti ai danni di salari e consumi e sosteneva che i lavoratori devono beneficiare degli incrementi di produttività della loro azienda. Sui consumi, Reuther citava espressamente Keynes e la necessità di innescare un circolo virtuoso che scongiurasse una nuova depressione. Ebbe un ruolo importante nello sciopero sit-down del 1936-37 alla GM di Flint, Michigan, e fu protagonista dello scontro titanico tra la UAW e la GM del 1945 (tuttavia, molto più pacifico di quello del 1936-37). I lavoratori GM erano stufi dei bassi salari del tempo di guerra. Per GM, i salari non dovevano avere a che fare con il livello dei profitti. La vertenza richiese la mediazione di Truman. L’ondata di scioperi del 1946 non fu gradita agli Americani, tanto che la UAW di General Motors patì un certo isolamento, e Walter Reuther dovette accettare un accordo non pienamente soddisfacente, a causa degli orientamenti non favorevoli dell’opinione pubblica. Nel 1947, Walter Reuther divenne Presidente della UAW.

Engine Charlie Wilson, presidente GM, offrì un accordo innovativo: durata di due anni invece che di uno; pace sociale; condivisione degli aumenti di produttività; protezione dall’inflazione. L’accordo del 1948 stipulato su queste basi fu innovativo e rispondente a due dei punti su cui Reuther insisteva di più: la condivisione degli aumenti di produttività e la tutela dall’inflazione. Subito dopo, superato il trauma di un attentato in cui venne ferito, Reuther lavorò per un’ulteriore innovazione: l’introduzione nella contrattazione di benefici sociali. 

In un primo momento, Reuther aveva sperato da Truman in un equivalente americano del NHS britannico, il servizio sanitario nazionale, ma i repubblicani cavalcavano l’onda anti-sindacato e promossero leggi anti-sindacato, tra cui il Taft-Hartley Act, tuttora efficace. Fu così che Reuther si convinse che se non si potevano avere benefici sociali dal Congresso, li si sarebbe chiesti ai tavoli negoziali. GM propose un contratto da 5 anni, Reuther ci volle dentro pensioni e sanità. L’accordo GM-UAW, con i 5 anni di vigenza, pensioni, salute, inflazione, salario di produttività, verrà chiamato Treaty of Detroit, il Trattato di Detroit (1950), e produrrà la più vasta e ricca classe media dell’Occidente. Dal 1948 al 1973, fu in vigore negli Stati U un contratto sociale di fatto. Al netto dell’inflazione, crebbero produttività (96) e salari (91). Gli anni del maggior potere dei sindacati sono stati anche gli anni delle minori diseguaglianze.

GLI ANNI DEL DECLINO DEL SINDACATO

I fattori del declino:

  • globalizzazione;
  • atomizzazione della gig economy;
  • guerra delle multinazionali al sindacato.

Greenhouse analizza lo stato delle union, parafrasando il discorso sullo stato dell’Unione dei Presidenti degli Stati Uniti d’America. Si è persa la voce – dice. 

Sempre più spesso, si sceglie QUIT (the job) invece di VOICE: abbandonare, lasciare il lavoro, rinunciare, invece di protestare, di battersi. Sono tante le storie di lavoratori che se la passano male che Greenhouse racconta: una cuoca, un softwarista alla Disney, una cassiera incinta, un dipendente di un autolavaggio, un’infermiera, un tassista di Uber, un’insegnante di musica alle elementari che arrotonda da McDonald, un lavoratore che si divide tra due lavori (Burger King e Pizza Hut), si sobbarca il pendolarismo quotidiano, e nemmeno così riesce a farcela: a casa, niente riscaldamento, niente assistenza sanitaria …

La vita ha preso una brutta piega per milioni di lavoratori negli Stati Uniti. Si è rotto qualcosa di fondamentale nel modo con cui molti datori di lavoro americani trattano i dipendenti. Profitti e azioni su, salari giù. Quattro Americani su dieci non sono in grado di fare fronte a spese impreviste di 400 $. Si è avuto uno scontro di due visioni: massimizzazione del profitto contro prosperità condivisa.

Alle elezioni del 2016, milioni di lavoratori frustrati hanno votato per Trump (ma la sua amministrazione è piena di personaggi business over workers, attivi a favore delle imprese e contro i sindacati, su diversi temi: sicurezza, assistenza sanitaria, straordinari retribuiti, fondi pensione). Molti lavoratori sono stressati dal clopening (close + open): chiudono a mezzanotte e tornano per riaprire alle 7-8. L’eccezionalismo americano ha oggi una specificità anti-lavoratori: niente malattia retribuita, vacanze, maternità.

La globalizzazione ha comportato la competizione con lavoratori dai bassi salari. L’occupazione industriale è caduta: da 19.5 milioni nel 1979 a 12.8 milioni oggi. Evapora la sicurezza lavorativa, avanza il precariato. Le molestie sessuali sul posto di lavoro sono frequenti. Automazione e Intelligenza Artificiale mettono a rischio molti posti di lavoro. Auto e camion a guida automatica entrano in scena.

Salari e produttività, che erano cresciuti insieme nel periodo 1948-1973, non sono più appaiati nel periodo 1973-2016. Manager che nel 1965 guadagnavano 20 volte lo stipendio di un operaio, nel 1990 lo guadagnavano 59 volte; oggi addirittura 312 volte. 50 milioni di lavoratori guadagnano meno di 15 $ l’ora. Il salario minimo è 7,25 $ l’ora, meno che nel ’68. Ore lavorate: in America, 1.780 l’anno pro-capite: più che Giapponesi, Tedeschi, Francesi, Britannici.

I sindacati sono sulla difensiva a causa di calo iscritti, legislazione anti-sindacati, decisioni ostili della magistratura. Il sindacato viene accusato di interferire con il libero mercato e di sostenere il big government, l’intervento dello stato in economia e nella società. Numerose le leggi contro la quota sindacale in occasione dei rinnovi contrattuali.

Colossi come Walmart ed Amazon si rendono protagonisti di brutte storie contro i lavoratori e i sindacati. È evidente il declino dell’influenza politica dei lavoratori. Gli Americani condividono diversi obiettivi pro-lavoratori, ma tutto ciò non si trasforma in politica. Finanziamenti elettorali: il business batte di gran lunga il labor. Lo stesso per il lobbismo: 3 miliardi di $ contro 45 milioni. C’è di che essere preoccupati per il futuro del lavoro in America, con lavoratori che saltano le cure mediche che non possono permettersi, si arrabattano tra falso lavoro autonomo e forzature affinché si scelga per le controversie di lavoro l’arbitrato in alternativa all’andare in giudizio.

L’anti-sindacalismo americano è virulento: il sindacato viene visto come nemico (in nessun altro paese avanzato siamo a questo livello). L’autore offre un’ampia panoramica di casi. Lo sfruttamento di Uber raccontato da un autista Uber, che come reagisce, riceve una email di “disattivazione” (che Uber dovrà poi rimangiarsi).

Un lavoratore T-Mobile (call center) che passa dal premio al licenziamento perché si è sindacalizzato. C’è poi il manager Amazon, che diffonde fake news anti-sindacato. Lo union busting, l’attività di demolizione del sindacato, conta negli Stati Uniti 2.000 specializzati. È una guerra senza onore. Questo anti-sindacalismo militante è un’attività di massa: 63% dei datori di lavoro indagano se i loro dipendenti sono sindacalizzati; 34% hanno licenziato sindacalizzati; etc.

Walmart fa uso di video anti-sindacali e preferisce chiudere un’unità piuttosto che avere il sindacato in casa. Bill Haslam, governatore del Tennessee, si è subito mosso contro la UAW che cercava di sindacalizzare la Volkswagen di Chattanooga (2014): l’azienda non aveva problemi all’ingresso del sindacato, ma i politici della zona e le altre aziende sì, argomentando che il sindacato porta anche big government e tasse. Alla fine, la UAW perse, di poco, la votazione.

Perse anche alla Nissan. Nikki Haley, la governatrice della South Carolina, si era a sua volta distinta contro i sindacati: le union sono not needed, not wanted and not welcome (i sindacati non servono, sono indesiderati e non benvenuti) – mise in chiaro (2012). E così, abbiamo due Caroline senza sindacato: solo il 2.7% di densità sindacale. Il Sud è sempre stato difficile per il sindacato. Greenhouse ricorda l’Operazione Dixie del 1946, con cui si voleva sindacalizzare il Sud. La CIO mandò 20 sindacalisti per Stato. Fu un insuccesso.

Un episodio di employer militancy (militanza imprenditoriale anti-sindacato) si è visto all’opera nell’acciaieria Allegheny Technologies di Pittsburgh, Pennsylvania, che mise in atto una serrata, procedette con le sospensioni degli scioperanti e con l’uso, illegale, di sostituti degli scioperanti. Questa volta, però, la vittoria arrise ai lavoratori, che nel 2016 ottennero che l’azienda si rimangiasse il two-tier contract, che crea due trattamenti diversi tra i neo-assunti, con bassi salari, e i lavoratori con anzianità aziendale, sistema odioso che scava un fossato tra lavoratori.

Un altro recente caso di lockout (serrata) ha raggiunto la durata record di oltre 20 mesi. L’esito è stato negativo per i lavoratori. Parliamo dello zuccherificio ACS (American Crystal Sugar), con stabilimenti in North Dakota, Minnesota e Iowa, dove i lavoratori hanno infine accettato col 55% di sì un contratto di concessioni all’azienda che inizialmente era stato bocciato dal 96% dei lavoratori.

Il rapporto deludente con i Democratici

Nel 2008 i leader sindacali (tra cui Sweeney, il segretario generale della AFL-CIO) si attribuirono molti meriti per la vittoria di Obama. Decisivi furono gli Stati industriali: Ohio, Pennsylvania, Wisconsin, Michigan, Minnesota. Gli iscritti al sindacato votarono per Obama (67-30). Il voto dei bianchi, complessivamente favorevole a McCain (57-41), tra i sindacalizzati ha visto prevalere Obama (57-40). La differenza l’ha fatta il sindacato. Le richieste sindacali a Obama: stimolo al rilancio dell’economia e posti di lavoro. Inoltre, si chiede il Card Check, che rende più facile la sindacalizzazione: con la maggioranza dei consensi dei lavoratori di un’azienda si chiede il riconoscimento direttamente al datore di lavoro senza referendum tra i lavoratori. Ma i democratici furono molto tiepidi nel fare quanto le union chiedevano loro. Obama era in difficoltà nel sostenere la legislazione chiesta dal sindacato.

Obama ha deluso e fatto arrabbiare le union (anche con il TPP). Si impegnano più i repubblicani a demolire i sindacati di quanto non si impegnino i democratici per rafforzarli, nonostante tutto quello che le union fanno per i Democratici. Il 2009 segnò un buon momento per i sindacati che però non produsse i frutti legislativi attesi. La legislazione anti-union si diffuse ulteriormente. Gli effetti delle leggi anti-sindacato si videro con il crollo delle iscrizioni. Nelle elezioni del 2016, la Clinton vinse di misura nei punti di forza sindacali, ma l’Ohio fu perduto. Le leggi anti-sindacato cosiddette del right to work (non pagamento delle quote contrattuali) diedero a Trump il margine per vincere in Wisconsin e Michigan.

Le promesse di Trump: riportare a casa i posti di lavoro, rivitalizzare l’industria, essere duro su immigrazione  e commercio. I bianchi della classe lavoratrice si sentivano minacciati dagli immigrati e dalle politiche pro-minoranze. E anche dalle donne. I settori operai di industria, costruzioni, servizi si sentono abbandonati dal Partito Democratico. Grande distanza tra Hillary Clinton e gli operai: Hillary ha un working-class problem. E i Democratici sono percepiti come il partito dello status quo elitista. L’errore dei Democratici fu quello di focalizzarsi su temi divisivi e tralasciare quelli economici. 

Le responsabilità sindacali del declino delle union

Ci sono anche colpe sindacali nel declino del sindacato americano: corruzione, mancanza di visione, inerzia, burocratizzazione, discriminazioni (delle donne; razziali); tendenza ad alienarsi potenziali alleati politici. Casi emblematici di corruzione e metodi mafiosi: dai portuali dell’east coast, raccontati anche nel film di Elia Kazan, Fronte del porto, 1954, ai teamster (camionisti) di Jimmy Hoffa, magistralmente interpretato da Al Pacino in The Irishman di Martin Scorsese, 2019.

Si riposa sugli allori, ma non basta limitarsi alle vertenze e agli aumenti salariali, ci sarebbe voluta una più ampia visione sociale e maggiore combattività. Si è invece passati dal sindacalismo sociale di movimento al sindacalismo d’affari, da leva di progresso a difesa corporativa di interessi organizzati. C’è stato un infiacchimento della militanza (la cosa sta bene anche ai leader). Ma così il sindacato sarà disarmato quando arriverà l’era Reagan.

In particolare, gran miopia mostrò George Meany, Presidente della AFL-CIO dal 1955 al 1979, il sindacalista più potente (Time gli dedicherà una sua copertina). Personaggio sgradevole, si vantava di non aver mai fatto un picchetto o guidato uno sciopero. Meany non voleva occuparsi di nuove sindacalizzazioni, aveva la mentalità del vecchio sindacalismo di mestiere. Non investiva per reagire al declino degli iscritti.

Gli elevati tassi di sindacalizzazione in settori quali acciaio, auto, gomma, carta, con densità sindacale all’80%, lo facevano sentire forte; le nuove aperture al Sud, di aziende non sindacalizzate, venivano semplicemente ignorate. Walter Reuther lo criticava, invano. Finalmente con il dopo-Meany è arrivata, dopo ventiquattro anni, la svolta progressista, con John Sweeney Presidente AFL-CIO, carica che ricoprirà nel periodo 1995-2009, ma molti danni erano a quel punto stati fatti.

*** fine seconda parte di tre – continua nella prossima ed ultima parte


NOTE:
Articolo pubblicato su Lavoro Italiano Dicembre 2019
[1] Steven Greenhouse, Beaten Down Worked Up – the Past, Present, and Future of American Labor (2019)