La scelta di dedicare uno spazio video al congresso della UIL alla lettera che Simone Weil scrisse nel 1937 di carattere fortemente sindacale e lavoristico è puramente strumentale.
Chiede Simone Weil al lavoratore: ti ricordi com’era prima? Prima delle conquiste sindacali. Quando le umiliazioni e le ingiustizie erano la norma. Il monito è a non dare per scontato ciò che è stato costruito quanto a tutele e dignità, ma a rinnovare l’impegno con il sindacato, affinché quel “prima” non torni più.
Le conquiste sindacali per i francesi vennero dopo l’iscrizione in massa dei lavoratori al sindacato a partire dal giugno 1936, durante il governo del Fronte Popolare.
Le vicende, lontane nel tempo e con caratteristiche diverse da ciò che accadeva in Italia – con il regime fascista – inquadrate nell’ambito di una ricostruzione storica del movimento sindacale di matrice riformista hanno assunto una valenza assoluta, valida per tutte le epoche e per tutte le latitudini.
Infatti, la scelta di quel testo ha permesso di ricordare, ancora una volta, che la consapevolezza e la difesa dei diritti non devono mai essere tralasciati e che le conquiste raggiunte devono essere accompagnate dalla vigilanza e dalla fermezza di sapere che il primo difensore è il lavoratore convinto che il sindacato è il soggetto che politicamente ed organizzativamente è capace di manifestare o reagire alle condizioni avverse e alla prepotenza dello sfruttamento.
L’autrice francese fu filosofa, mistica e scrittrice e le sue vicende culturali così peculiari ed originali, sia dal punto di vista politico che culturale, ne fanno una particolare protagonista nell’Europa tra le due guerre.
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Simone Adolphine Weil nacque a Parigi, 3 febbraio 1909 e morì a Ashford il 24 agosto 1943. La Weil attinse da Marx l’idea della rivoluzione come ricomposizione dell’unità, distrutta dal capitalismo, fra lavoro manuale e intellettuale, e quindi come riappropriazione della cultura.
Alcuni anni dopo, nel saggio Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale (1934), prese corpo la descrizione weiliana dell’industria moderna come luogo in cui il lavoro umano si riduce a mera fatica, e dove perciò soltanto il totalitarismo può prosperare. Il suo impegno in favore dei proletari la portò a condividere il socialismo di Jean Jaurès e Léon Blum.
Si avvicinò ad ambienti sindacali e politici trotskisti ed anarchici, avendo avviato rapporti d’amicizia e collaborazione, già dal 1931, con noti esponenti del sindacalismo rivoluzionario. Non entrò mai nel Partito comunista francese Pur non aderendo al gruppo, collaborò alla rivista La Critique sociale e si attivò, per tramite di Alain, allo scopo di convincere Gaston Gallimard a pubblicare un memoriale di Souvarine fortemente critico verso Stalin.
Professoressa al liceo di Auxerre e sempre più spinta dalle sue idee a voler sperimentare sé stessa, nel dicembre del 1934 abbandonò la vita di soli studi per dedicarsi al lavoro manuale, prestando opera come manovale presso Alsthom (società di costruzioni meccaniche) a Parigi.
Il lavoro, testimoniato dai suoi stessi diari, era estremamente duro e frustrante e avendo scarsa dimestichezza coi macchinari, più volte si bruciò e tagliò le mani, patendo l’indifferenza e il licenziamento.
Sotto la pressione di soddisfare le quote di produzione richieste, una sera, ad esempio, annotava: «Emicrania violentissima, lavoro compiuto piangendo quasi senza interruzione. (Tornando a casa, interminabile crisi di singhiozzi)». «Laggiù mi è stato impresso per sempre il marchio della schiavitù», constaterà.
L’esperienza di otto mesi di lavoro nelle officine Alstom, Carnaud e Renault – che aggravò ulteriormente il suo stato di salute – verrà raccolta, sotto forma di diario e di lettere, nell’opera La condizione operaia, in cui confluirà anche l’articolo La vita e lo sciopero delle operaie metalmeccaniche, scritto dalla Weil per la rivista La Révolution prolétarienne con lo pseudonimo «Simone Galois», in onore del matematico Évariste Galois, mentre infuocavano gli scioperi del giugno ’36. Si unì agli scioperanti, militò come sindacalista e inventò gesti provocatori, come la divisione del suo salario con i disoccupati.
In occasione di alcuni viaggi, si rese conto in anticipo del dramma dell’ascesa del nazismo e della diffusa condizione di miseria delle popolazioni. Si impegnò allora nella denuncia, pubblicando articoli di critica socio-politica che condannavano i totalitarismi di destra e di sinistra, mentre difendevano il pacifismo tra gli stati nazionali.
Prima di riprendere a insegnare in un liceo di Bourges, si recò in Portogallo, dove conobbe e visse la miseria dei pescatori. Tutto questo faceva parte della sua ansia di rinnovamento sociale, del suo desiderio di veder migliorare il mondo.
Prese parte, in più occasioni, alla vita politica degli anni tra le due guerre, intrattenendo contatti ora con i gruppi della resistenza repubblicana spagnola, ora ospitando Trotzkij, nonché organizzando manifestazioni antifasciste di vario genere che le costarono la segnalazione alle autorità scolastiche e relativi trasferimenti.
Politica e religione formano una miscela esplosiva nel suo cuore tanto che nell’agosto del 1936 partiva per arruolarsi nelle file degli anarchico-sindacalisti, unendosi alla rivoluzione che voleva cambiare la Spagna e che si trasformò in una sanguinosa guerra civile. La sua fu una lunga e approfondita indagine sul principio di realtà (la percezione del mondo, delle sue modalità, delle sue caratteristiche e della sua possibilità di approdare ad una forma perfetta) dettata dall’esigenza di ancorare questo principio al contesto sociale e politico di appartenenza.
Alla base dell’ingiustizia, prima ancora della proprietà privata e dei mezzi di produzione, vi è la separazione fra lavoro manuale e lavoro intellettuale, fra funzioni direttive e funzioni esecutive.
Con lo sviluppo dell’economia e conseguentemente della divisione del lavoro, aumenta la dipendenza dell’individuo. Tale dipendenza diviene soggezione al potere.
Dopo l’esperienza storica dell’oppressione attuata con la forza delle armi e di quella prodotta dalla ricchezza concentrata nel capitale privato, l’umanità comincia a sperimentare una forma nuova di oppressione determinata dalla divisione del lavoro che costringe l’uomo a forme estreme di specializzazione.
Si viveva in un mondo dove nulla è a misura dell’uomo, dove tutto è squilibrio e la società è collettività cieca, trasformata in una macchina per comprimere cuore e spirito e per fabbricare l’incoscienza.
Separando il lavoro dalla conoscenza, la società moderna e soprattutto la società industriale, che ha aumentato enormemente la complessità della sua organizzazione, pose le condizioni per un potere sempre più forte che tendeva a riprodursi anche là dove è stata fatta la rivoluzione.
Da qui derivavano alcune indicazioni: la società deve essere centrata sul riconoscimento del lavoro, ma di un lavoro nel quale sempre più si compenetrino l’ideazione e la progettualità da un lato e l’esecuzione e la realizzazione, dall’altro.
Qui di seguito il video realizzato dall’Istituto Studi Sindacali e UILTV dal titolo: “Ti ricordi.“
https://youtu.be/bGTkjWo4Ns8