Accanto all’organizzazione dei lavoratori per leghe di resistenza/categorie, prende forma una seconda modalità di organizzazione dei lavoratori: la camera del lavoro, struttura orizzontale, ispirata al modello francese delle Bourses du Travail, a partire dalla prima, la Camera del Lavoro di Milano, fondata nel 1891.
Una grande vittoria viene colta proprio grazie alla dimensione confederale: lo sciopero di Genova dei giorni 21-24 dicembre 1900 contro la chiusura della camera del lavoro vede lavoratori di tutti i mestieri e le industrie fianco a fianco e si conclude con la revoca del provvedimento repressivo prefettizio, cui seguì la prima caduta di un Governo, quello di Saracco, a seguito di una lotta sindacale, e la svolta impressa da Giolitti, che rese le istituzioni non più pregiudizialmente nemiche dei lavoratori.
Lo storico Giuliano Procacci ha scritto in Storia degli Italiani (1968): “Il proletariato industriale costituiva una parte abbastanza circoscritta del totale della popolazione lavoratrice. Nel 1902 gli iscritti alle varie federazioni erano solo 238.980.
Leggermente più elevata — 270.376 — era invece la cifra degli iscritti alla Camera del lavoro, un’organizzazione a base territoriale che combinava la funzione eminentemente sindacale con quella di rappresentanza generale sul piano cittadino degli interessi dei lavoratori nel senso più lato; una sorta, come fu detto allora, di “comune di lavoratori”, con tutto il municipalismo e l’orgoglio cittadino dei comuni borghesi del Medioevo.
Proprio per questo la Camera del lavoro era sentita dai lavoratori italiani come un’organizzazione più corrispondente alle loro necessità e ai loro ideali.
La solidarietà tra i diversi operai di una medesima città e tra di essi e il popolo di artigiani e di piccolo-borghesi, era un sentimento più accessibile di quello della solidarietà di categoria sul piano nazionale.
Un metallurgico di Milano si sentiva, in parole povere, più vicino a un falegname o, anche, a un impiegato della propria città che non a un metallurgico di Napoli o di Livorno.
Questo spiccato localismo costituiva anch’esso un elemento al tempo stesso di forza e di debolezza: senza di esso non sarebbe stato possibile lo sciopero di Genova del 1900 (NdR: contro lo scioglimento della Camera del Lavoro), ma in altre occasioni esso si rivelò come un ostacolo serio sulla via di una maturazione della coscienza operaia e socialista.”
Illustrazioni: riproduzione di uno stendardo della Camera del Lavoro di Arezzo, con il motto “uno per tutti tutti per uno” (Archivio Centrale dello Stato); ritratto di Pietro Chiesa, dipinto da Licia Lisei e donato all’Istituto Studi Sindacali Italo Viglianesi: Chiesa fu un deputato socialista e figura carismatica dei portuali di Genova, leader dello sciopero di Genova del 1900 e sostenitore dell’alto valore sociale, non solo rivendicativo, delle camere del lavoro.
Mostra storica del sindacalismo riformista italiano/13