Maurizio Molinari, Il ritorno delle tribù – la sfida dei nuovi clan all’ordine mondiale (Rizzoli 2017)
Sintesi a cura di Roberto Campo
L’indebolimento degli Stati nazionali in Nord-Africa e Medio Oriente sta portando ad un ritorno del tribalismo. Tutto ciò nel quadro di una nuova fase dello scontro tra Sunniti e Sciiti, la terza tappa, apertasi con la guerra in Siria (2011), dopo la prima tappa (rivoluzione iraniana, 1979) e la seconda (guerra Iraq-Iran 1980-88).
La coalizione militare sunnita conta ben 34 stati. L’obiettivo sciita è la creazione di una dorsale Tehran-Baghdad-Damasco con continuità territoriale.
La battaglia di Mosul contro l’ISIS è un crocevia per molte questioni strategiche: il futuro del Califfato; l’unità dell’Iraq; le prospettive di nascita del Kurdistan; il definirsi di una sfera turca; il consolidamento della sfera d’influenza iraniana; la credibilità della coalizione occidentale anti-ISIS.
Notevole l’azione russa, che mostra una sua capacità di esercizio del soft power. A giudizio di Molinari, la Russia in Siria è a un bivio, tra un aumento del suo impegno diretto (con conseguente riproporsi di un rischio-Afghanistan) oppure orientarsi per una spartizione della Siria.
Nel Nord-Africa, la questione aperta più delicata è quella della Libia, dove si fronteggiano da un lato le milizie di Misurata e il governo di al-Sarraj, con l’appoggio di Gran Bretagna, Stati Uniti e Qatar; dall’altro lato, Khalifa Haftar con il suo governo di Tobruk, con l’appoggio dell’Egitto, interessato ad una Cirenaica-cuscinetto, dell’Arabia Saudita, degli Emirati Arabi Uniti, della Francia e della Russia.
L’Italia è per una Libia unita, ma il rischio che prevalgano le forze della separazione, tra Tripolitania e Cirenaica, se non peggio, è forte. L’Italia è impegnata nella “diplomazia del deserto” per stringere accordi con le tribù e limitare l’afflusso di immigrati; Egitto, Gran Bretagna, Francia e Russia ostacolano tale politica italiana; gli Stati Uniti sembrano condividerla.
Per dare un assetto stabile a realtà sempre più frammentate ed evitare l’epilogo tribali sta, la formula vincente, secondo Molinari, potrebbe essere la confederazione.
Molinari supporta questa soluzione con le idee del Presidente Israeliano Reuven Rivlin, che ritiene, ai fini della soluzione del conflitto israelo-palestinese, la confederazione più credibile dell’ipotesi dei due stati, e quelle di Falah Mustafa Baker, curdo, che auspica un Iraq confederale.
Precedenti positivi dello strumento confederale: la Loya Jirga in Afghanistan; l’azione unitaria di re Idris con le tribù libiche.
Anche il malessere sociale in Nord-America e Europa rischia di provocare frammentazioni: pur con tutte le differenze, il neo-tribalismo interessa  anche il mondo occidentale. Le tre maggiori cause di scontento in Europa sono le diseguaglianze economiche, soprattutto l’indebolimento del ceto medio; l’immigrazione; il jihadismo.
Richieste semplici, ma per rispondere a tono, bisogna ripensare l’Europa (mentre i sovranisti rincorrono il tribalismo). Servono nuova protezione sociale,  nuova dottrina della sicurezza collettiva, patto sulla società multietnica, innovazione, investimenti, formazione.
L’Europa non potrà prescindere da un’integrazione a velocità diverse (cooperazione rafforzata). In America, l’elezione di Donald Trump ha evidenziato il malessere della tribù bianca (l’altra tribù in sofferenza è quella afro-americana).
Trump sarà impegnato sul fronte dei diritti economici, mentre Obama lo è stato su quello dei diritti civili.
Quella che Molinari descrive è, dunque, una doppia sfida: interna (populismo) ed esterna (jihadismo). L’Italia è stata investita dal ciclone del malessere – i cui punti principali sono le diseguaglianze economiche, il cattivo governo dell’immigrazione, l’insicurezza provocata dal terrorismo jihadista – lo scorso 4 dicembre.
Ci sono le nostre specificità, ma i fenomeni sono più generali. La frammentazione è all’opera nel Nord-Africa e nel Medio Oriente (indebolimento degli stati e ritorno del tribalismo), ma anche in Europa e nel Nord-America (malessere sociale).
Gli immigrati collegano le due disgregazioni. I populisti fanno il gioco degli jihadisti. Lo scenario peggiore è quello che somma populisti e jihadisti.
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I recenti editoriali di Maurizio Molinari su La Stampa si integrano con il libro. Svolta strategica nel Golfo (21 maggio 2017) descrive la nuova fase del duello Teheran-Riad, con il cambio di strategia degli Stati Uniti: Obama aveva individuato in Teheran il partner per la stabilizzazione del Medio Oriente; Trump ha scelto Riad, e il pendolo torna in direzione dell’Arabia Saudita.
Arabia-Qatar, il duello ci riguarda (11 giugno 2017) parla del conflitto dentro l’Islam sunnita tra i salafiti (che si riconoscono in Riad e sono per conservare gli Stati arabi) e i Fratelli Musulmani (che si riconoscono nel Qatar, sono per abbattere gli Stati arabi, rivoluzionare il mondi sunnita e unificare l’intero Islam, e sono la fonte della deviazione teologica che ha generato al Qaeda prima e l’ISIS poi).
La coalizione anti-Qatar messa su dall’Arabia Saudita: Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Egitto, Giordania, Yemen. Alleati del Qatar: Iran, Turchia.
Il Qatar ha forti legami sia con gli Stati Uniti, sia con l’Europa. La sfida per la supremazia politica nell’Islam può avere ripercussioni immediate in casa nostra.