L’autore: un bravo paleoantropologo che crede nel valore della divulgazione. Libro molto bello. Utile per le informazioni che fornisce e commenta, perché il nostro passato è vorticosamente cambiato in questi ultimi decenni, e l’autore fa il punto della situazione analizzando anche le ultime scoperte degli anni scorsi. La Preistoria di quando ero ragazzo non c’è più. Ma al di là della materia di cui si occupa, il libro è una lezione di metodo scientifico, di ipotesi confermate e di ipotesi fatte a pezzi, e un monito a stare attenti a trarre conclusioni affrettate.
Il paradigma della specie unica è crollato a cavallo degli anni ‘80 e 90, e con esso la ricerca dell’anello mancante. Non c’è stata un’evoluzione umana lineare, una specie unica in costante graduale evoluzione, lanciata verso la modernità, spesso raffigurata con la celebre sequenza da meno progredito a più progredito che Stephen Jay Gould, eroe di Giorgio Manzi, chiamava “iconografia della speranza”. Il percorso è stato ramificato, con più generi e molte specie contemporaneamente sulla scena.
Il capitolo dedicato all’Australopiteco tratta le grandi scoperte degli anni ‘70: Lucy (1974, Etiopia), resti di 3,2 milioni di anni fa, e le impronte di Laetoli (1976, Tanzania), di 3,6 milioni di anni fa, la testimonianza più suggestiva riguardo alla locomozione bipede dei nostri remoti antenati – scrive l’autore. Inizialmente, le impronte individuate furono tre, e vennero interpretate, romanticamente, come passeggiata di maschio e femmina l’uno vicino all’altra, forse a braccetto, seguiti da un essere più piccolo, un cucciolo, probabilmente. La successiva scoperta delle orme di almeno altri due individui, tra cui uno di taglia molto grande, hanno invece fatto pensare si tratti di un maschio e quattro femmine e/o cuccioli. Dunque, struttura sociale poligama (harem), elevato dimorfismo della specie. Altro che coppietta romantica – commenta Manzi.
Lo snodo decisivo: 1,9-2 milioni di anni fa. Il passaggio da scimmie antropomorfe ormai da tempo bipedi (Australopiteco) al genere Homo. Comincia il processo di encefalizzazione; i denti non sono più specializzati solo per i vegetali; compaiono i primi manufatti; si comincia a uscire dall’Africa. Il più antico”toolmaker” (fabbricatore di utensili) è stato Homo Habilis, scoperto nel 1964, in Tanzania.
L’antenato ominide che dai miei tempi ha fatto più carriera è Homo Heidelbergensis (prima scoperta, Germania, 1907): qualche decennio fa, lo si citava ma non si sapeva bene dove metterlo. Oggi è cruciale, il protagonista assoluto pluricontinentale dell’umanità di mezzo, tra gli Homo più arcaici (Homo Antecessor, Homo Ergaster, Homo Erectus) e quelli più moderni, come l’Uomo di Neanderthal e noi Homo Sapiens. Compare tra 600mila e 500mila anni fa.
Primi immigrati in Europa: 1,2 milioni-800mila anni fa. Si tratta di Homo Antecessor, precursore di Homo Heidelbergensis. Segue 600mila anni fa un ingresso molto più massiccio in Europa. Questa volta è lui, Homo Heidelbergensis. Da lui, derivano almeno tre specie, tra loro contemporanee: Neanderthaliani in Europa; Sapiens in Africa; Denisoviani in Asia (non erano né Neanderthaliani né Sapiens, e vivevano nella zona dei Monti Altai 40mila anni fa). Ma c’erano ancora altre specie contemporaneamente sulla scena: ancora Homo Erectus in Estremo Oriente e il piccolo popolo di Homo Floriesiensis (Indonesia).
Homo Neanderthalensis fu scoperto nel 1856, in Germania. L’Uomo di Altamura, scoperto nel 1993, è pure un Neanderthal, il più antico e completo finora trovato. Un altro celebre Neanderthal italiano è l’Uomo del Circeo, scoperto nel 1939. A lungo interpretato come oggetto di una sepoltura rituale, oggi si è chiarito che il presunto cerchio di pietre che lo circonderebbe era più una suggestione che altro.
Homo Sapiens compare 200mila anni fa, in Africa, dalla quale esce 95-62mila anni fa. Il primo incontro con i Neanderthaliani avviene nel Vicino Oriente, con anche incroci, che sembrerebbero limitati a quel primo incontro nel Vicino Oriente e non essersi ripetuti poi in Europa (un 2% di DNA neanderthaliano è in noi). La dimensione del cervello è analoga a quella dei Neanderthaliani, quello che cambia è la forma, che può indicare differenze funzionali: il loro cervello a palla da rugby e il nostro a palla da calcio. La riconfigurazione dell’architettura cranica deve aver fatto la differenza.
Oggi, sul pianeta c’è una sola specie, Homo Sapiens. I Neanderthaliani si sono estinti 30mila anni fa.
Roberto Campo – Presidente dell’Istituto Studi Sindacali