“il 5 marzo 1950,ci fu la nascita della UIL e diede vita ad una organizzazione laica e indipendente che rifiutava le egemonie partitiche nel sindacato, così come di essere solo uno strumento “che esaurisce le sue funzioni nelle rivendicazioni salariali e nella regolamentazione dei diritti e doveri dei lavoratori in fabbrica o nella azienda”, ma bensì con l’autonomia di divenire una Confederazione capace di affrontare “tutti i problemi che investono direttamente o indirettamente gli interessi della classe lavoratrice” in modo da non lasciare “ alla sola iniziativa parlamentare e dei partiti politici di occuparsi dei suoi problemi, ma di affrontarli sostenuti dal sindacato con l’eventuale appoggio dei partiti senza però vincolare la sua azione a questo o quel partito”
[…] Ho visto nascere la UIL dall’esterno, ma simpatizzavo con essa. Il nucleo promotore della UIL, il motore che le diede vita, furono certo i sindacalisti socialisti usciti o espulsi dalla CGIL per aver seguito la scissione di Romita nelle file del PSI: Viglianesi, Dalla Chiesa, Bulleri e altri. Ad essi si aggiunsero i repubblicani ed i socialdemocratici che non avevano accettato la confluenza della loro FIL nella CISL. Ma la UIL rappresentò in realtà l’impresa di contatto dei lavoratori che condividevano le esigenze di un movimento politico che affondava le radici in quell’area della sinistra democratica che andava da Ignazio Silone agli ex azionisti e a tutti quei dirigenti socialisti che si battevano su posizioni di autonomia del partito comunista, anche se non erano usciti con la scissione di Palazzo Barberini.
Ignazio Silone era il capo morale e il punto di riferimento politico di questo arco di personaggi con estradizione ed esperienze politico-culturali anche diverse, ma cementati dalla lotta antifascista. Essi avevano approvato la ribellione di Saragat allo stalinismo del PSI – allora si diceva fusionismo – ma ritenevano che il PSLI fondato dallo stesso Saragat fosse troppo legato alla Democrazia Cristiana. I gruppi influenzati da Ignazio Silone nutrivano insomma nei confronti di Saragat una divergenza tattica: criticavano l’adesione in condizioni di minorità e di debolezza ad un governo egemonizzato dalla Democrazia Cristiana. Nei confronti del PSI la divergenza era invece di principio, ideale, profonda: era infatti problema di principio il rifiuto dello stalinismo. A questi gruppi aderirono Giuseppe Romita e altri socialisti che uscirono dal PSI nella primavera del 1949. Vi aderirono anche numerosi deputati e dirigenti dello stesso partito di Saragat. Si ritenevano infatti mature le condizioni per una iniziativa costituente che raccogliesse tutti i socialisti democratici. Ma Saragat era diffidente, non accettò l’unificazione immediata, e per questo Romita e Silone fondarono il PSU.
Esso rappresentò un pò una anticipazione di quel che oggi sta realizzando Bettino Craxi: il PSU era una forza socialista anti staliniana, autonoma sia del partito comunista, sia dalla Democrazia Cristiana. Silone fu dunque un anticipatore, come lo fu del resto per gli ideali europeisti: non bisogna dimenticare che quando uscì dal PSI con la scissioni di Palazzo Barberini, egli non aderì al PSLI di Saragat, ma fondò un piccolo gruppo che si chiamava “Europa Socialista” Una anticipazione appunto di quel movimento vero l’unità europea che nelle sinistre si sarebbe realizzato molti anni dopo. E’ proprio questo il retroterra della UIL”
[…] “Nel PSLI di Saragat non entrammo dopo la scissione di Palazzo Barberini, figurarsi se potevamo farlo due anni dopo… A torto o a ragione consideravamo gli altri come troppo moderati, troppo filoamericani, troppo filogovernativi… Sognavamo, diciamo così, un altro tipo di sindacato, così come ce l’aveva raccontato il Sen. Carmagnola, che aveva vissuto nella CGIL prefascista. Un sindacato ispirato alla democrazia e al socialismo.
Di lì nascevano il nostro sento dell’autonomia dal PCI e le radici di pensiero politico da cui crebbe la pianta del sindacato. Ricordo anzi che quel 5 marzo 1950 quando fondammo a Roma la UIL, qualcuno avanzò obiezione a denominare la nuova organizzazione con la sigla UIL. Rappresentava certamente un ponte ideale con il sindacalismo prefascista, ma non si potevano neanche dimenticare le idee rivoluzionarie di questa prima UIL di quel tempo… Noi volevamo invece una organizzazione profondamente diversa…
Ecco perché non entrammo nella FIL. Figuratevi poi che cosa poteva significare l’adesione all’organizzazione di Partore! Chi poteva dimenticare le sue origini! La definivamo il sindacato dei preti e dei vescovi… Beh non scherzavamo tanto neanche noi… Il fatto è che a quei tempi far politica non aveva il senso di oggi.
Era il momento della grandi scelte ideali, delle opzioni di fondo. Le cose assumevano fatalmente contorni esasperati”.
Tratto dal libro “La fondazione della UIL: I testimoni” Interviste a Leo Valini, Paolo Vittorelli, Franco Novaretti a cura di Arnaldo Plateroti
Disponibile presso la Biblioteca Nazionale UIL Arturo Chiari