Ricordiamo Walter Tobagi, ucciso a soli 33 anni da terroristi di estrema sinistra il 28 maggio del 1980. Il giornalista, lo studioso, il riformista. Figura cara alla UIL, che gli ha dedicato una sala riunioni nella sede nazionale di Via Lucullo e un premio giornalistico. In questa breve nota lo vogliamo ricordare soprattutto per la sua attenzione alle vicende del sindacato, cui dedicò – tra l’altro – un bellissimo libricino, Il Sindacato rifomista, scritto nel tetro 1977. In questo testo, si parla soprattutto del sindacalismo che si sviluppò prima della catastrofe fascista, che soffocò qualsiasi forma di libero sindacalismo. Tobagi non parte proprio dalle origini, ma dalla svolta di inizio secolo. Nel 1900 il Prefetto di Genova chiuse la Camera del Lavoro di Genova. La considerava un covo di sovversivi. Era la terza volta che la Camera del Lavoro di Genova subiva chiusure. Ma questa volta ci fu una reazione, travolgente. Le camere del lavoro erano strutture sindacali territoriali, che mettevano insieme i lavoratori a prescindere dalla tipologia professionale. Il modello originario era francese, ma l’esperienza italiana fu ancora più ricca.
L’adesione allo sciopero a Genova fu totale, e la battaglia fu vinta su tutta la linea. Einaudi denunciò come anti-liberale il comportamento del Prefetto. Il Governo Saracco cadde e il suo posto lo prese il Governo Zanardelli, con Giolitti ministro dell’interno. La svolta fu profonda. Lo Stato smise di essere pregiudizialmente con i padroni e contro i lavoratori. O fu neutrale nei conflitti di lavoro, o cercò di favorire una mediazione che desse soddisfazione anche ai lavoratori. Walter Tobagi riporta il pensiero del sindacalista Rinaldo Rigola sull’importanza della neutralità dello Stato in materia di scioperi e libertà effettiva di organizzazione sindacale. Anche il socialista riformista Filippo Turati, memore delle cannonate del generale Bava Beccaris contro i milanesi che protestavano per il caro-pane (1898), salutò molto favorevolmente la svolta. Quanto lontani da Gramsci, che giudicherà Giolitti conservatore e reazionario e lo accuserà di aver impedito la formazione di un’Italia democratica!
Ma Gramsci si sbagliava. Il mutato atteggiamento dello Stato favorì una fioritura di sindacalismo, un diluvio di scioperi, una ricca messe di accordi e di aumenti salariali, tanto che Tobagi parla di “autunno caldo” del 1901. Significativo che il celebre quadro di Pelizza da Volpedo sul Quarto Stato sia proprio del 1901: il proletariato si era messo in marcia.
Il Congresso socialista di Imola del 1902 vide una netta vittoria dei riformisti sui temi politici e su quelli sindacali, sui quali la relazione di Pietro Chiesa (l’eroe dello sciopero di Genova del 1900) e Luigi Murialdi bocciò senza mezzi termini il mito dello sciopero generale rivoluzionario e affermò la validità del riformismo e del gradualismo, nonché l’importanza dello sviluppo affinché le rivendicazioni fossero sostenibili. Lo sconfitto del Congresso di Imola fu Arturo Labriola, che era interessato soprattutto allo scontro con lo Stato (prima ancora che con i singoli imprenditori). L’altro evento importante del 1902, sempre a favore dei riformisti, fu la nascita del Segretariato Nazionale della Resistenza, paritetico tra Camere del lavoro (orizzontali) e federazioni di mestiere (verticali): un preludio alla nascita della confederazione nazionale, che però non potrà vedere la luce prima che venga rintuzzato il contrattacco del sindacalismo rivoluzionario contro quello riformista. Nel 1906, i riformisti ripresero saldamente le redini del movimento (erano di gran lunga più forti nel sindacato che nel partito) e portano a compimento la costituzione della Confederazione nazionale, la CGdL (Confederazione Generale Italiana del Lavoro). La sua fondazione permetterà di superare la conflittualità tra le Camere del lavoro e le federazioni di mestiere (due delle maggiori federazioni di mestiere, i metallurgici della FIOM guidati da Ernesto Verzi e la Federterra guidata da Argentina Altobelli, furono protagoniste della nascita della CGdL).
La CGIL unitaria del 1944 è un fatto sostanzialmente nuovo – osserva Tobagi. È diversa dalla CGdL del 1906, che era nata dalla convergenza di organizzazioni sindacali, camere del lavoro e federazioni di mestiere, per opera di sindacalisti che prevalentemente erano socialisti riformisti. La CGIL unitaria del 1944-48, invece, nasce dall’alto, ossia dalla convergenza fra i tre partiti comunista, socialista e democristiano, che si attribuirono la rappresentanza pressoché totale delle masse popolari. Le due possibili alternative a quello schema furono sconfitte. Infatti, il tentativo iniziale di Bruno Buozzi di far ripartire la vecchia CGdL e quello napoletano di mettere in campo una nuova CGdL, senza i cattolici come quella del 1906, coinvolgendo anche gli azionisti, naufragarono. Buozzi, prendendo atto della situazione, nonostante diversi contrasti con i comunisti, lavorò al Patto di Roma – siglato poi nel giugno 1944, ma non da lui, perché assassinato dai nazisti in fuga da Roma.
La CGIL unitaria fu caratterizzata da una fortissima centralizzazione contrattuale, per governare le spinte settoriali, disciplinare l’azione delle masse e garantire una tregua salariale nella ricostruzione. Le Commissioni Interne furono private di poteri negoziali (sconfessando così di fatto l’accordo del 1943 tra Buozzi per il sindacato e Mazzini per Confindustria). Il libro di Tobagi si chiude con le scissioni del 1948, che posero fine alla CGIL unitaria, e con la nascita nel 1950 della UIL e della CISL. Comincia così nel 1950 la storia di CGIL, CISL, UIL.
Come in tutte le cose da lui scritte, anche in questo prezioso libricino traspare l’amore di Tobagi per i risultati concreti ottenuti dai riformisti, in politica e nel sindacato, in un Paese che ai riformisti ha sempre reso la vita difficile, come anche il suo desiderio di contribuire a far conoscere quella storia.