6 Maggio 1900 nasce a Torino Caterina “Rina” Picolato o Piccolato (Torino, 6 maggio 1900 – Roma, 18 febbraio 1963) è stata una sindacalista e politica italiana.
Nata da Adriano e da Felicita Battioni, iniziò fin dall’infanzia a lavorare come sarta, poi come operaia. Nel 1918 si iscrisse al Partito Socialista Italiano e ben presto si impegnò, nell’ambito della Camera del Lavoro torinese, all’organizzazione delle lavoratrici dell’abbigliamento. Nel gennaio del 1921 aderì al neonato Partito Comunista d’Italia e, nell’aprile successivo, prese parte al III congresso dell’Internazionale Comunista.
Dal 1941 lavorò alla ricostruzione del Partito comunista a Torino e nel 1943 entrò a far parte, unica donna, della direzione provvisoria del partito. Nel novembre 1943, seguendo le Direttive per il lavoro tra le masse femminili decise dal partito, promosse la nascita dei Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti della libertà, che avevano lo scopo sia di sostenere la resistenza delle donne e portare aiuto alle famiglie dei partigiani, dei carcerati e degli internati in Germania, sia di battersi per l’emancipazione delle donne.
Dopo la Liberazione continuò a far parte della Commissione femminile del PCI e fu nominata alla Consulta Nazionale. Al V Congresso del PCI, tenutosi a Roma tra il dicembre 1945 e il gennaio 1946, entrò a far parte del Comitato centrale; fu candidata alla Assemblea Costituente della Repubblica Italiana ma non venne eletta. Successivamente non venne più candidata.
Nel primo congresso nazionale della Confederazione Generale Italiana del Lavoro svoltosi a Firenze nel giugno del 1947 fu eletta nel Comitato direttivo e nella Commissione femminile nazionale. Continuò a ricoprire tali incarichi anche negli anni successivi e fu tra le protagoniste delle principali rivendicazioni a favore delle lavoratrici, quali la parità salariale e la tutela della maternità. Si batté con grande determinazione per il miglioramento delle condizioni delle lavoratrici a domicilio.
Contemporaneamente continuava a fare parte degli organismi dirigenti del PCI (Commissione centrale di controllo, collegio dei sindaci).
Nel novembre 1962, alla III Conferenza nazionale delle donne lavoratrici, le subentrò, al vertice della Commissione femminile della CGIL, Donatella Turtura.
Morì a Roma il 18 febbraio 1963.
[…] Rina Picolato , torinese, fu tra le organizzatrici dello sciopero delle sartine nel 1919, partecipò all’esperienza di Ordine Nuovo e alla fondazione del PCd’I. Antifascista, con compiti di direzione nelle rete clandestina comunista promosse nel 1943 la fondazione del GdD e, nel dopoguerra, fu membro della Consulta e operò come dirigente delle Commissioni femminili.
Questa nuova generazione di dirigenti aveva come tratti comuni l’antifascismo, le rigide regole della vita clandestina, l’esperienza dell’emigrazione politica, una diffusa condizione di povertà, la cesura con la dimensione del privato. La scelta antifascista non di rado si collocava in una tradizione familiare ed era rafforzata dai legami con compagni e mariti, a loro volta militanti e dirigenti politici. Accanto questa opzione, in realtà minoritaria, ve ne furono altre. Alcune sindacaliste, pressate dalla violenza dello squadrismo fascista e poi dall’occhiuta vigilanza del regime, concentrarono la loro esistenza in un ambito familiare. La stessa Argentina Altobelli fu indotta a tale decisione. Si trasferì a Roma, cercò in più modi di lavorare e fu poi bibliotecaria presso l’INPS. Medesimo discorso per Maria Giudice, che, costretta a rimanere in Sicilia, dove si era trasferita nel primo dopoguerra, privilegiò l’ambito familiare. A vita privata si ritirò anche Anna Franchi, che, durante la prima guerra mondiale, aveva aderito a posizioni interventiste, appoggiando poi l’impresa fiumana.
Le scelte quindi diverse ma in ogni caso difficili. La militanza clandestina comportava uno stile di vita molto duro segnato spesso, anche sul piano personale, dai bruschi mutamenti di strategie politiche. Il ritiro a vita privata, a sua volta, implicava l’azzeramento e la rimozione del precedente patrimonio politico. Il risultato fu una cesura tra due generazione di dirigenti sindacali e politiche, che fu resa più aspra dai conflitti che contrapposero comunisti e socialisti e portarono, sul piano sindacale, alla formazione di due CGL, destinate a riunificarsi solo nel 1936.
Anche i modelli proposti avevano delle diversità. Le sindacaliste dell’età giolittiana avvertivano con forza il legame con il partito socialista, nelle sue diverse articolazioni e vivevano intensamente anche il proprio ruolo sindacale. Subirono la violenza repressiva dello Stato liberale e, dunque, processi, prigione, internamento, ecc., la loro attività fu però quasi sempre legale. Professionalmente vi era un bel numero di maestre che, seppure in maniera discontinua, continuarono a praticare il loro lavoro. Sul piano personale non furono costrette, pur nella priorità della dimensione pubblica, a rinunciare ad affetti, amori, vita familiare.
Le generazioni di donne che visse l’antifascismo clandestino dovette in molti casi azzerare i percorsi personali. Le non numerose dirigenti, che superarono la rigida selezione della clandestinità, ci restituiscono la durezza dello stile di vita proprio delle funzionarie. Questo elemento sarà acquisito e rielaborato nella memoria dell’antifascismo e contribuirà a costruire una memoria politica incentrata sull’eroismo. […]pp.57