Nasce a Milano Gino Piva (Milano, 9 aprile 1873 – Vetrego, 30 agosto 1946) è stato un sindacalista, politico, giornalista e poeta italiano.
Nel 1893 nasce l’organizzazione del Partito Socialista Italiano (PSI) nel Polesine. Padri del socialsimo polesano furono Nicola Badaloni e Vittorio Gottardi. Piva partecipò giovanissimo alla trasformazione del circolo da radicale a socialista prima a Trecenta, poi a Massa Superiore, l’attuale Castelmassa, e a Ceneselli.
Fu talmente entusiasta come organizzatore politico e sindacale che il primo sciopero del 1894 rimase memorabile tra i braccianti del Polesine da essere ricordato in un canto popolare del tempo:
Evviva Gino Piva / che col suo bel parlare / tutta la provincia / ha fatto ribellare .
Per la sua attività politica e sindacale subì diversi processi e una sentenza giudiziaria gli costò, nel 1899, diversi mesi di carcere.
Dopo aver già pubblicato un articolo nel 1890 sulla Gazzetta del Popolo della Domenica nel 1900 fece la prima vera prova come giornalista iniziando come collaboratore del foglio socialista rodigino La Lotta firmandosi con lo pseudonimo Remengo (vagabondo, errante). Nello stesso anno fu eletto segretario della federazione polesana del PSI e direttore della Lotta, assumendo una funzione di grande rilievo, seconda soltanto a quella di Nicola Badaloni.
L’attività politica e giornalistica nel PSI lo portò nel 1903 a risiedere a Alessandria (diresse l’Idea nuova), a Cesena e a Ravenna (Segretario Federazione PSI e direttore della Parola dei socialisti). Aveva nel frattempo maturato una posizione riformistica e gradualistica, tanto che nel 1904 prenderà posizione contro lo sciopero generale, condannando il sindacalismo rivoluzionario che gli appariva come la negazione del socialismo.
Nel luglio del 1912, al XIII congresso nazionale del PSI, aderendo alla corrente dei riformisti di Leonida Bissolati ne seguì le sorti nell’espulsione e la nascita al Partito Socialista Riformista Italiano. Significativa è la sua concezione del socialismo:
«(…) A chi ci chiede che posto occupiamo nelle tendenze socialiste, noi rispondiamo di essere socialisti della vecchia scuola che, animati dalla persistente fede, sentono il loro tempo e in quello si ambientano per progredire, usando di tutti i mezzi per raggiungere il proprio ideale.
(Siamo) pronti alla violenza se la libertà sia minacciata, adattabili al lavoro di pacifica trasformazione sociale se l’ambiente lo consente (…)
(Pertanto) il Socialismo non è rivoluzionario né riformista; è quello che il suo tempo lo fa (…)
Il Socialismo (pertanto) non può avere apriorismi: esso deve operare come può nell’ambiente in cui vive. (…)»
[…]I Socialisti riformisti di destra, com’è noto, consideravano il socialismo un “movimento realistico”, espressione di un “fatto concreto”: il movimento dei lavoratori. Solo nel moto l’organizzazione di massa avrebbe dovuto trarre le norme per la vita futura, essendo il socialismo un “fatto concreto in divenire”
Anche Badaloni considerava il socialismo riformista un movimento realistico,un fatto concreto che poggiava sulla tangibile volontà rivendicatrice dei lavoratori, se non altro perchè, come ha osservato Lanaro, il socialismo braccianti “tutto pane e lavoro”, nella Rovigo di Badaloni, era ” privo della tensione evangelica e tolstoiana della Reggio di Camillo Prampolini”.
Non diversamente da Bonomi, Badaloni affermava che il socialismo, organismo vivente in evoluzione, è a un tempo “scienza e fede” , e” non istà nelle parole e nella formole generanti, in seno al partito le eresie e le scomuniche… ma sta nelle cose, nelle leggi e nei cuori, maturanti la evoluzione equa e vasta che… raccoglie, coordina e feconda le forze riparatrici della nuova civiltà nuova”. E ad Andrea Costa confidava: “Non sono uomini quelli che la vita vogliono rinchiudere nella cerchia breve ed arida di un sillogismo”.
Soprattutto nei congressi provinciali socialisti, Badaloni, come Gino Piva, sosteneva con vigore, e non senza fortuna, che l’organizzazione dei lavoratori si dovesse rinnovare su basi semplici, non dottrinali, senza chiedersi se i promotori del rinnovamento avessero già votato per Turati o per Labriola: “Noi – così precisava – possiamo fare una grande opera di unità e di organizzazione socialista senza perderci in disquisizioni che possono star bene fra l’élite della classe socialista, ma non possono essere intese dalla maggioranza dei lavoratori che formano le Leghe”.[…]pp206
Disponibile presso la BIBLIOTECA NAZIONALE UIL ARTURO CHIARI