26 febbraio 1956 – Termina il XX Congresso del PCUS, in cui Nikita Krusciov inizia la “destalinizzazione” dell’Unione Sovietica.

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Il XX Congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (PCUS) si tenne presso il Gran Palazzo del Cremlino di Mosca dal 14 al 26 febbraio 1956. È passato alla storia in particolar maniera per l’intervento di Nikita Chruščëv, in cui il Primo segretario del partito denunciò il culto della personalità del suo predecessore, Iosif Stalin, aprendo così al processo di destalinizzazione[1]

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[…] Costretto a starsene in pensione, Krusciov potrà poi scrivere guardando al passato: “Stalin aveva commesso dei crimini che sarebbero stati puniti in qualsiasi stato del mondo, ad eccezione degli stati a regime fascista, di Hitler e Mussolini”. Era questa la prima volta che un personaggio politico sovietico di rilievo arrivava a stabilire, nelle sue riflessioni, un parallelo tra lo stato socialista e quelli fascisti, cosa che dimostrava, tra l’altro, anche la personalità eccezionale di Krusciov.

La creazione della commissioni d’inchiesta, pur presieduta da Pospelov, fu accolta senza nessun entusiasmo dalla vecchia guardia staliniana: Molotov, Vorosilov e Kaganovic.   Mikojan, da parte sua, sebbene non si opponesse alla commissione, non forniva a Krusciov alcun sostegno attivo.

La relazione sull’attività del Comitato centrale, letta da Krusciov esprimeva alcune critiche nei confronti di Stalin, Molotov e Malenkov, senza nominarli, ma, dall’altro lato, sottilineava i meriti di Stalin nello schiacciare i “nemici del popolo”.   L’intervento di Mikojan, il 16 febbraio, fu ben più risoluto: egli fece i nomi di Kosior e di Antonov-Ovseenko, falsamente dichiarati nemici del popolo.

Nel corso del Congresso, Kruscev ottenne dal Presidium del CC che si facessero conoscere ai congressisti, in una seduta a porte chiuse, i risultati dell’inchiesta della commissione Pospelov.   La decisione fu presa dopo una tempestosa seduta del Presidium , durante la quale Vorosilov, sostenuto da Molotov e da Kaganovic, urlò a Kruscev che non sapeva cosa facesse.   Vorosilo e Kaganovic non nascondevano di temere la responsabilità personale.  Krusciov rispose loro francamente che la responsabilità era diversa a seconda delle persone, in base al ruolo che avevano svolto in ciò che era avvenuto.   Per quanto riguardava lui, si dichiarò disposto a rispondere di ciò di cui era colpevole.   Così Krusciov infranse uno degli elementi basilari del modo comunista di governare: l’omertà del gruppo dirigente, cementato dal silenzio non solo a livello più alto, ma in tutte le istanze.   Ancora di recente, i membri della Politbjuro firmavano tutti personalmente i decreti di condanna a morte.

Dopo lunghe discussioni, si decise che Krusciov avrebbe tenuto una seconda relazione, in seduta a porte chiuse, sui crimini di Stalin.   Naturalmente la relazione era già stata predisposta.  Krusciov era senz’altro sicuro che la maggioranza del Presidium lo avrebbe appoggiato: non c’era, semplicemente, via d’uscita.

Krusciov aveva deciso di limitarsi ai crimini perpetrati nei confronti dei membri del partito che avevano appoggiato Stalin e la linea generale del partito stesso, passando invece sotto silenzio le vittime dei cosiddetti processi “pubblici” , gli oppositori ecc.   Tuttavia, alla vigilia del suo discorso, egli sapeva – per bocca del procuratore generale R. Rudenko – che ” dal punto di vista legale non c’erano prove di nessun genere per condannarli e neppure per processarli.    I capi d’accusa contro di loro si basavano sulle confessioni estorte con torture fisiche e psicologiche.   Cionondimeno, si era deciso di non accennare ai capi dell’opposizione, per non turbare i rappresentati dei partiti fratelli presenti al Congresso.   In seguito, Krusciov ammise che quella decisione era stata sbagliata.   Egli non accennò neppure alle principali vittime del regime: milioni di normali cittadini. […]pp.613

 

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