24 febbraio 1990 muore a Roma Sandro Pertini, all’anagrafe Alessandro Giuseppe Antonio Pertini[2] (San Giovanni di Stella25 settembre 1896 – Roma24 febbraio 1990), è stato un politicogiornalista e partigiano italiano. Fu il settimo Presidente della Repubblica Italiana, in carica dal 1978 al 1985, secondo socialista (dopo Giuseppe Saragat[3]) e unico esponente del PSI a ricoprire la carica.

[…] Pertini, di carcere in carcere, di tribolazione in tribolazione, aveva capito – almeno così dirà in seguito – che a soffrire le persecuzioni del fascismo erano i comunisti in prima linea e in seconda i cattolici.    I socialisti si mostravano più prudenti, esitavano quando veniva il momento di dichiarare la loro fede contro il regime.    Per questo Pertini lega subito con Gramsci, suo omologo quanto a sete di libertà e di dissenso.

Nel carcere di Turi questa diversità diventa un cemento di idee, non solo contro il fascismo, ma soprattutto contro i partiti d’origine, quell’area socialcomunista che avrebbe portato al frontismo e alla disfatta del PSI.

Pertini protegge il suo geniale compagno di cella dalle angherie dei comunisti-stalinisti e l’altro, in segno di gratitudine, cerca di violentarlo nelle idee politiche.    Quasi lo convince che non è un vero socialista, è un comunista.    Pertini resiste, sa che, comunque, c’è una bella differenza tra Marx e Proudhon, tra Stalin e Sorel, Engels e Bakunin.   Il socialismo reale, cioè il marxismo, è soltanto una deviazione dal socialismo glorioso del movimento operaio e dall’anarchia liberatoria.

Con il PSI, Pertini manterrà il rapporto passionale, di amore-odio.

Darà mandato a Craxi, ma talvolta si rimprovererà  per questa scelta.   Un pò perchè il Partito Socialista craxiano rinnega l’antica spinta, un pò perchè i giovani legati alla segreteria, come simbolo gli preferiscono Nenni.

Craxi-e-Pertini

“Il PSI – dirà Pertini, ricevendo un gruppo di socialisti – è il partito delle incertezze.” E sarà ancora più pesante in un’intervista a Nichols.

Tuttavia, dopo il Quirinale, Pertini sarà senatore socialista.

Se il rapporto con il PSI è difficile, quello con la DC diventa impossibile quando il Presidente, di ritorno dall’Irpinia terremotata, attacca i politici e li invita a non ripetere lo scandalo del Belice.   Nel suo settennato, il Presidente aveva sempre tentato di creare una camera d’aria tra la sua carica e il potere pubblico, quasi che la sua investitura fosse piovuta dall’alto e il Parlamento, ovvero i partiti non c’entrassero.   Ma lo aveva fatto in modo garbato, tra pochi intimi, senza lasciare messaggi alla nazione.   Stavolta, il suo messaggio è violento e provoca l’immediata reazione di De Mita che, da buon irpino, non dimenticherà mai più l’offesa.

V

Con il Partito Radicale la rottura è più cadenzata.    Pertini non riceve al Quirinale, durante il ciclo di consultazione del 1 febbraio 1979, il segretario Jean Fabre perchè è straniero (e la Costituzione o meglio la prassi istituzionale gli dà totalmente ragione) litiga con Pannella, mugugna ogni volta che si parla di lui, poi, finalmente, dice alla Bonino quel che pensa: “Pannella è un esibizionista, basta”.   Il PLI è lontano dal Presidente della Repubblica perchè Pertini, già durante il viaggio in Germania, aveva elogiato un sistema elettorale che poneva un barrage al 5% di voti.

Il PSDI afferma di sostenere Pertini, ma forse lo fa per lo stesso motivo per cui appoggia i pensionati.   Il PRI di Spadolini si batte per una riconferma, ma probabilmente bleffa. Al Presidente, a pochi mesi dalle elezioni presidenziali, resta solo il PCI, un partito smarrito dopo la scomparsa di Berlinguer, la cui salma sarà riportata a  Roma sull’aereo presidenziale.   Ma forse, neppure il PCI è convinto di una possibile ricandidatura di Pertini.

FUNERALI BERLINGUER

Funerali di Berlinguer

Insomma in sette anni, il Presidente si è bruciato molti consensi che lo avevano portato al Quirinale.   Li ha persi di giorno in giorno, di mese in mese, mentre il suo prestigio cresceva fra la gente, in maniera spasmodica, incontrollabile.   La sua mancata rielezione, in un certo senso, è stata un golpe per la folla; in un latro, un saggio ritorno alle vecchie abitudini della Repubblica Parlamentare.   Ma Pertini resterà un monito per tutti.   Ha raggiunto confine che separa la nostra Repubblica da quella francese, si è issato oltre Gronchi e Saragat, verso Giscard e Mitterand. Il suo successore dovrà essere molto diverso da lui o molto simile. […] pp.11

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