22 gennaio 1957 muore a Jesi, Gemma Perchi
(Jesi, 1º aprile 1873 – Jesi, 22 gennaio 1957)
è stata un’operaia e sindacalista italiana.
Impiegata come operaia nel settore manifatturiero, si prodigò per la costituzione di scuole nelle quali poter mandare i figli delle operaie. Nelle filande e con le setaiole iniziò e diresse una durissima battaglia sindacale di agitazioni e scioperi per i diritti delle lavoratrici, fino a ottenere le otto ore lavorative giornaliere nel 1919; fu anche perseguitata durante il fascismo[1].
Fu una delle prime donne – se non la prima – a presiedere una Camera del Lavoro, in cui ebbe un ruolo importante nella commissione esecutiva[2] e nella segreteria, dopo la Settimana rossa del 1914 e durante la Prima guerra mondiale.
Nata il 1 aprile 1873, in estrema difficoltà per l’alfabetizzazione delle bambine e la loro possibilità di lavorare, si impegnò nella lotta per costituire delle scuole nelle quali poter mandare i figli delle operaie.
Fu perseguitata durante il fascismo e per questa ragione subì forti persecuzioni durante il periodo del fascismo, nel 1923 fu tra i quattordici sovversivi jesini fermati a seguito dell’arresto di Bordiga.
Fu una delle prime donne –alcuni sostengono fosse la prima – a presiedere una Camera del Lavoro, in cui ebbe un ruolo importante nella commissione esecutiva e nella segreteria.
Jesi, nelle Marche, in quel periodo era una tra le più importanti regioni dell’industria della seta e proprio le donne, con i loro sacrifici, rappresentavano circa 85 per cento della forza del lavoro lavorando in condizioni di estrema difficoltà.
A quel tempo la giornata lavorativa era composta da quattordici ore, proprio per questo motivo iniziarono degli importanti scioperi (il più rilevante, durato 10 giorni, fu proprio quelle delle filandaie di Jesi – 965 lavoratrici tra donne e bambini) che fece diminuire l’orario da 14 ore a 11.
A causa delle loro condizioni di lavoro le filandaie, nel 1899, proclamarono un importante sciopero per rivendicare la riduzione dell’orario di lavoro, chiedevano la riduzione a dieci ore lavorative, il pagamento degli straordinari e una maggiorazione del 50 per cento sui giorni festivi lavorati.
Tra le filandaie che lottarono per questi diritti ci sono, Gemma Perchi, Alaide Gherardi e Ida Pierandrei, assumono un ruolo di primo piano all’interno della C.d.L., incrinando la tendenza all’esclusione delle donne dalla militanza sindacale.
Tra il 7 e il 14 giugno 1919 ci fu un’insurrezione popolare sviluppatasi ad Ancona e propagatasi dalle Marche alla Romagna, alla Toscana e ad altre parti d’Italia, come reazione all’eccidio di tre manifestanti avvenuto ad Ancona ad opera della forza pubblica.
Un’ondata di indignazione si sparse subito per tutta la città, mentre le forze di polizia si tenevano cautamente distanti.
La sera stessa del 7 giugno fu tenuta una riunione alla Camera del Lavoro di Ancona, nel corso della quale fu deciso lo sciopero generale, poi confermato dal voto dell’assemblea del giorno successivo. L’8 giugno ci fu un comizio in Piazza Roma nel quale parlarono Pedrini ed altri della Camera del Lavoro, Nenni e Malatesta: quest’ultimo incitò la folla a provvedersi di armi. La sera stessa venne svaligiata l’armeria Alfieri. Intanto giunsero ad Ancona diversi esponenti del sindacalismo rivoluzionario, come il socialista on. Alceste de Ambris e il repubblicano on. Giovan Battista Pirolini.
Proprio a causa delle agitazioni i maggiori sindacalisti jesini furono costretti a rifugiarsi in Svizzera e la Perchi venne chiamata a ricoprire il ruolo nella segreteria della Camera del Lavoro; essendo però una donna e essendo le donne ancora considerate una minorità, le fu affiancato un uomo.
Nel frattempo la Perchi continuava ad essere in testa alle agitazioni nel comparto della seta, si batteva però anche contro il caro vita, contro la guerra e anche a sostegno delle agitazioni di altre categorie.
Nel 1918, grazie ad una delle agitazioni guidate dalla Perchi, le filandaie di Jesi e Cupramontana, uniche in tutta Italia, ottennero finalmente le nove ore di lavoro giornaliere.
Nell’estate dello stesso anno ci fu un duro scontro tra setaiole e filandieri: alla richiesta delle prime, mirate ad ottenere un aumento delle paghe, i secondi contrapposero aumenti articolati che non avevano convinto le setaiole. Energica e precisa la risposta della Perchi, che concludeva così un suo manifesto: «I signori filandieri vorrebbero tornare alle dieci ore di lavoro! Ma noi rispondiamo tanto ora che per l’avvenire giammai! Anzi, fin da questo momento facciamo il proposito che a guerra finita vogliamo come massimo otto ore di lavoro». Infatti esattamente un anno dopo le filandaie jesine videro realizzarsi il loro obiettivo, la giornata lavorativa verrà portata dalle undici ore alle 8 ore a decorrere dal 1° maggio 1919.!!!