9 gennaio 1950 – Eccidio delle Fonderie Riunite di Modena. Sei operai furono uccisi dalle forze dell’ordine per impedire l’occupazione della fabbrica.
L’eccidio delle Fonderie Riunite di Modena fu una strage avvenuta a Modena durante lo sciopero del 9 gennaio 1950 indetto dal sindacato CGIL per protestare contro i licenziamenti di oltre 500 operai metalmeccanici delle Fonderie Riunite.
Per impedire l’occupazione della fabbrica, gli agenti della Polizia di Stato spararono contro i manifestanti, uccidendo sei operai e ferendo circa 200 persone.
[…] Mentre il paese era ancora scosso di fronte al grave episodio verificatosi nel gennaio del 1950 a Modena, ove, nel corso di una manifestazione, erano rimase uccise sei persone, a Ravenna, come in molte altre città italiane, i sindacalisti aderenti alla Fil discutevano intorno all’ipotesi di unione con le forze cattoliche. Ad un’assemblea della categoria braccianti tenutati a S. Alberto il 23 gennaio 1950 buona parte della base aderente alla Fil manifestò notevoli perplessità sulla proposta di fusione e mosse accuse precise nei confronti dei vertici sindacali della Fil che, asserendo di non avere ancora a disposizione il numero preciso degli iscritti, non riuscivano a valutare serenamente se si fosse <<obbligati>> alla fusione oppure se la forza dei sindacalisti laici era sufficiente a garantire il funzionamento di una centrale sindacale indipendente. La Fil di Ravenna, dopo il congresso provinciale riunito per discutere il problema dell’unificazione, in vista al congresso nazionale <<impegna[va] i delegati al Congresso Nazionale a svolgere tutta l’attività possibile perché ogni decisione [fosse] rimandata ad un “Referendum” tra i lavoratori o ad un nuovo Congresso>>.
D’altra parte questa scelta attendista era il risultato delle divergenze di vedute che, come abbiamo visto, si erano manifestate a Ravenna attorno a questo problema, ponendo non pochi disagi soprattutto a quella base repubblicana che costituiva la stragrande maggioranza degli iscritti. Essa, incalzata dalla propaganda dei comunisti, non poteva non risentire della crisi che si era verificata all’interno di un Pri che ritrovò solo sotto la guida di Oronzo Reale un assetto stabile dopo l’uscita di Giovanni Conti e dopo le critiche della sinistra di Belloni.
Al congresso nazionale della Fil, tenutosi a Napoli il 5 e 6 febbraio del 1950, le divergenze fra coloro che propendevano per la fusione ed i sindacalisti contrari si manifestarono con tutta la loro evidenza. Al termine dei lavori il congresso votò una mozione favorevole all’unificazione che, grazie all’estensione degli autonomisti, ottenne una larga maggioranza ma, sul piano politica, restava evidente l’isolamento dei fusionisti. Gli autonomisti dal canto loro, avevano subìto, proprio alla vigilia del congresso, l’espulsione strumentale di alcuni dei loro esponenti più attivi, presero accordi con i sindacalisti del Psu per formare una nuova organizzazione sindacale e stabilirono di riunirsi in congegno a Roma il 5 marzo successivo. I risultati del congresso napoletano furono biasimati da <<La Voce repubblicana>> con un articolo di Amedeo Sommovigo. Enrico Parri e Rocchi, che confluirono nella Lcgil, dopo le <<manovre verticistiche congressuali>> di Napoli, vennero espulsi dal Pri.
Ironico il commento del periodico comunista di Ravenna attorno a questi avvenimenti; in un articolo intitolato Un requiem per la Fil si poteva leggere: <<E così la Fil è andata a farsi benedire passando con le sue sterili e sparute schiere tra le altrettante sterili file della democrazia Lcgil>>. Un appello era poi rivolto ai repubblicani che venivano invitati a <<bollare l’azione capitolarda dei loro dirigenti e ritornare nelle file di chi lotta veramente per i diritti del lavoro>>.
Intanto il 5 marzo del 1950 nasceva a Roma l’Unione italiana del lavoro. La nuova organizzazione, sorta dall’unione delle camere sindacali che dopo il congresso di Napoli avevano proclamato la loro autonomia, con alcuni gruppi socialdemocratici ed il nucleo, consistente, dei socialisti autonomisti usciti per ultimi dalla Cgil, rispondeva meglio alle esigenze di una base sindacale che si era staccata dalla Cgil per non subire l’egemonia comunista e non voleva però nemmeno sottostare al condizionamento clericale che sembrava caratterizzare la Lcgil: una base che si richiamava esplicitamente alle tradizioni socialiste e repubblicane. […] pp.61
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