29 novembre 1963 – Il presidente statunitense Lyndon B. Johnson istituisce la Commissione Warren per investigare sull’assassinio di John F. Kennedy.

CommissioneWarren

[…] Avevo l’impressione che volesse inviare a Saigon quell’Edmund Gullion che dodici anni prima lo aveva messo al corrente della situazione indocinese e che si era fatto onore nel Congo; la candidatura di Guillon trovava ampi consensi alla Casa Bianca.   Ma Dean Rusk, in uno di quei rari momenti in cui impose la sua volontà, decise di fare la nomina lui stesso. Scartato Gullion, il suo candidato, con gran stupore o sgomento dello staff della Casa Bianca, risultò essere Henry Cabot Lodge.

L’idea non era totalmente assurda. Lodge, ex ufficiale di collegamento tra l’esercito americano e quello francese durante la seconda guerra mondiale, parlava il francese correttamente; come ufficiale della riserva, aveva scritto una relazione sul Vietnam nella primavera del 1962 e aveva voluto fare il suo turno di servizio nel Vietnam. Persona dotata di alto senso civico, che si sentiva insoddisfatta quando era tagliata fuori dall’attività pratica di governo, espresse chiaramente a Rusk e agli altri il suo desiderio di ricoprire un incarico difficile. Tuttavia, come ambasciatore alle Nazionali Unite durante la presidenza di Eisenhower, egli non aveva certo dimostrato di avere molta comprensione dei problemi del terzo mondo né di possedere gran talento nel trattare coi rappresentanti delle nuove nazioni. Lo staff della Casa Bianca temeva, che una volta a Saigon, egli sarebbe istintivamente messo dalla parte del generale Harkins e di Diem.  Quanto al presidente, l’idea non gli dispiaceva, non solo perché considerava Lodge un uomo capace, ma perché il pensiero di dare l’incarico all’uomo che aveva battuto nelle elezioni senatoriali del 1952 e che era stato candidato nella lista avversaria per la vicepresidenza nel 1960 faceva leva sul suo istinto di magnanimità e anche, e senza dubbio, perché la mossa di coinvolgere un leader repubblicano nel problema vietnamita era ottima sotto l’aspetto politico. Cosi alla fine di giugno, Kennedy offrì l’incarico a Lodge.

Dato che Lodge non poteva partire prima della fine di agosto, si decise di rimandare a Saigon Nolting, finalmente rientrato a Washington di ritorno dalle vacanze, per compiere un ultimo tentativo di raggiungere un accordo con Diem. Quando l’11 luglio tornò a Saigon, Nolting, irritato dalla rigida posizione nei confronti di Diem assunta da Trueheart durante la sua assenza, sentì che il suo lavoro di due anni era stato distrutto. Né i recenti avvenimenti avevano in alcun  modo alterato la sua analisi della situazione. A suo parere, i buddisti erano restii ad ogni idea di accomodamento per il semplice motivo che intendevano rovesciare il regime. Egli pensava che il peso esercitato a loro favore dall’opinione pubblica americana o la decisione di censurare ufficialmente l’atteggiamento di Diem, avrebbe soltanto incitato Diem ad una più spietata repressione o spinto i suoi oppositori a tentare un colpo di stato. Ogni sforzo per allontanare Diem dai Nhu sarebbe stato inutile: “Cercare di separare i membri di quella famiglia sarebbe come voler separare due gemelli siamesi”. La via migliore rimaneva ancora quella dell’appoggio incondizionato a Diem. Nell’intento di ristabilire buone relazioni con Diem, Nolting arrivò persino al punto di difendere il comportamento del regime in materia religiosa.

A Washington, nel frattempo, Kennedy cercava di vedere i problemi di Saigon nella giusta prospettiva, ricordando ai giornalisti riuniti per una conferenza stampa, che, dopotutto, il Vietnam era in guerra già da vent’anni. “Il nostro intento – dichiarò il Presidente – è di favorire la costituzione nel Vietnam di un governo stabile, che lotti per mantenere la sua indipendenza nazionale. Noi crediamo fermamente in questa soluzione… A mio parere, se ci ritirassimo dalla lotta, ciò comporterebbe non solo il crollo del Sud Vietnam ma dell’intero Sudest asiatico. Perciò vi rimarremo”. […] pp.992

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Disponibile presso la Biblioteca Nazionale UIL Arturo Chiari