27 settembre 1960: La mafia uccide il sindacalista Paolo Bongiorno segretario della camera del lavoro di Lucca Sicula ucciso si interessò per un migliore trattamento dei braccianti agricoli, chiedendo per essi una retribuzione giornaliera di 3.000 lire per otto ore di lavoro.
[…] Già i Fasci degli anni 1892-94, per esempio perseguivano un cambiamento delle condizioni d’appalto. Mediante contratti diretti fra proprietari e grandi consorzi d’appalto si volevano neutralizzare i grandi e medi locatari. Se, in seguito, i piccoli contadini avessero potuto trattare come collettività con i latifondisti, la loro dipendenza dai proprietari sarebbe diminuita notevolmente.
I Fasci tentarono di dar vigore alle loro richieste con scioperi e dimostrazioni che erano seguiti frequentemente – particolarmente intorno al 1893-94 – da tumulti sanguinosi e da interventi delle autorità statali di pubblica sicurezza. Per alcune località si poté dimostrare che questi tumulti erano stati provocati da elementi mafiosi e che i campieri – ancor prima dell’intervento dei carabinieri – avevano sparato sui contadini, come a Giardinello (10 dicembre 1892), Lercara (25 dicembre 1892) e Gibellina (2 gennaio 1894).
Dopo il 1918, la stessa richiesta fu ripetuta con maggior energia. Il governo, che nel 1894 era ancora intervenuto duramente, dovette mostrarsi più conciliante con i consorzi di ex combattenti. Proprietari, gabelloti e campieri furono perciò più che mai costretti a difendere, di propria iniziativa, i loro privilegi. Nel solo anno 1920 furono uccisi quattro sindacalisti e organizzatori di consorzi: Lorenzo Panepinto a S. Stefano Quisquina, Alongi a Prizzi, Salvatore Bonfiglio a Eirce, Mormino a Palermo.
Dopo il 1943, i contadini senza terra chiesero non soltanto migliori condizioni d’appalto, ma anche la distribuzione della terra, dunque un mutamento sostanziale dei rapporti di proprietà. Il movimento trovò un forte impulso nelle leggi per la riforma agraria, varate dal governo fascista e rinnovate da quello post-bellico. In tante località i contadini presero possesso,. in azioni spontanee, dei terreni incolti e li divisero simbolicamente fra loro. Nella lotta contro contadini organizzati, cooperative, sindacati e partiti di sinistra, i conservatori si servirono dei soliti mezzi: assassinii terroristici e intimidazioni: Fra il 1945 e il 1965 vennero uccisi 41 esponenti del movimento contadino, di cui 30 negli anni di crisi 1946 e 1947. Eco maggiore, però, suscitò l’aggressione che il bandito Salvatore Giuliano il 1 maggio 1947 durante la manifestazione di maggio dei contadini di San Giuseppe Jato a Piana dei Greci, nella quale si ebbero 11 morti e 56 feriti.
Molto più dell’esercizio effettivo della violenza, fu usata la minaccia di violenza. Nel marzo dell’anno 1945 Giulia Florio D’Ontes, principessa di Trabia e Butera, nominò Carogero Vizzini amministratore della sua tenuta Miccichè a Villalba. La cooperativa <<Libertà>> aveva chiesto l’espropriazione della tenuta. L’istanza fu corredata dall’alto commissario per la Sicilia con l’annotazione <<da archiviare>>; lo stesso consorzio si sciolse poco dopo che don Calò ebbe consigliato ai contadini in questo senso. La principessa Lanza di Trebia nominò Genco Russo amministratore della sua tenuta Polizello in Mussomeli. Vale la pena citare il brano di un discorso di Pompeo Colajanni al Parlamento regionale per dare l’idea di come queste misure di protezione divennero generali:
Corleone:
Feudo Donna Beatrice di 32 salme, proprietari i fratelli Palazzo che sono stati più volte sequestrati, gabelloto Lo Bue Carmelo noto pericoloso capo mafia di Corleone, già carcerato e confinato.
Feudo S. Ippolito di 415 ettari, proprietario il cavaliere Antonio Ferrara, soprastante (ma forse qualche cosa di più del soprastante data la clandestinità dei rapporti e quindi la mancanza di informazioni precise sulla vera natura del contratto) Leggio Francesco, noto mafioso, attualmente confinato.
Feudo Rao di 50 salme, proprietaria la vedova Mangiameli, gabelloto Pennino Michele, il cui padre fu ucciso in circostranze drammatiche in America, noto mafioso, arrestato varie volte e latitante per lunghi periodi.
Feudo Chiatti, proprietario il signor Provenzano, gabelloto Sabella Mariano, pregiudicato e confinato.
Feudo Patria di 180 salme, proprietario il duce Papa di Pratameno, gabelloto Leggio Biagio, mafioso, cinque anni di confino scontati, attualmente detenuto.
Feudo Strasatto, proprietario il signor Pappalardo, gabelloto Liggio Luciano, noto mafioso latitante con mandato di cattura per molti reati. […] pp.197
Disponibile presso la Biblioteca Nazionale UIL Arturo Chiari