21 settembre 2018 si festeggia la
GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA PACE
“Il giorno in cui il potere dell’amore
supererà l’amore per il potere
il mondo potrà scoprire la pace”
cit. Mahatma Gandhi
[…]Il Medio Oriente vis a vis con l’Occidente. Talvolta mi sono trovata “proiettata” tra queste due culture. Nel momento in cui riscoprivo le mie radici, il <<background>> culturale originario si risvegliava in me, favorito dai ricordi della scuola religiosa che frequentavo da bambina. Oppure a qualche altro legato alla nonna materna, Sheherezada, che mi insegnava a recitare le surab, le preghiere del Corano. Mi si riapriva una finestra che da tempo era chiusa. Un orizzonte lontano lontano, quasi dimenticato ma familiare, si delineava davanti alla mia visuale. Riuscivo, quindi, a comprendere, in uno sforzo di obiettività, le loro ragioni.
Le ragioni di entrambi: il perché dell’incomprensione, della diffidenza, dell’odio, del rancore e la difficoltà di dialogo tra il mio mondo di provenienza e l’Occidente, nel quale vivo e sono partecipe. In quei m omenti desideravo favorire questo dialogo più di quanto realisticamente potessi fare come giornalista. Ho cercato di individuare quel che in comune hanno queste due componenti della famiglia semita, senza privilegiare l’una o l’altra. Unirle, se possibile. E non approfondire ancor di più le loro ferite. Non era facile. Considerando la loro passionalità mediorientale e il fervore, ai limiti del fanatismo, che anima le rispettive cause, si poteva capire che ciascuno desiderasse che io stessi dalla <<sua>> parte. Dalla parte delle <<sue>> ragioni, In tal contesto, sì, ero corteggiata dai loro servizi segreti. Di entrambi. Naturalmente rifiutavo. E con grande difficoltà e diplomazia, riuscivo a mantenere l’equilibrio dettatomi, oltre che dal mio credo e senso di giustizia, da un’obiettività ed etica professionale e sopratutto umana. Come conseguenza di questo mio atteggiamento, taluni sono rimasti male. Non hanno capito il mio sforzo d’imparzialità, né l’hanno apprezzato.
Il problema, invece, del dialogo degli arabi con noi occidentali (m anche tra loro) sul tema della pace e della guerra, finisce per collocarsi in un contesto più vasto di quello che è il confronto politico e militare in relazione a queste realtà. Va visto, pertanto, con un ottica diversa. Tutto ciò che si può attribuire, ad esempio, a un Saddam Hussein in termini di follia, ingenuità, mania di grandezza, cinismo e barbarie, non cancella l’insegnamento e l’ammonimento che è venuto dalla Guerra del Golfo: il nuovo ordine mondiale non può essere turbato da crescite incontrollate, o incontrollabili, di potenze militari ed economiche <<fuori quadro>>. Una concentrazione di enormi risorse petrolifere (come sarebbero state quelle unite dell’Iraq e del Kuwait) avrebbe fatto saltare tutti gli equilibri attuali, e favorito quella scalata alla potenza militare, grazie anche al possesso dell’arma atomica, che (se pur nel caso dell’Iraq si è rivelata un <<bluff>> ) tuttavia rappresenta una minaccia da non sottovalutare. <<Finchè Saddam è al potere>>, mi aveva detto Shamir, << c’è da temere il peggio. Non ci sentiamo sicuri.>> In termini più generali, questa minaccia non è tuttora completamente neutralizzata. Neanche con la firma di un primo accordo di pace tra gli israeliani ed i palestinesi. […] pp.13
Disponibile presso la Biblioteca Nazionale UIL Arturo Chiari