[…] Non è azzardato dire che, nel nostro Paese, prima di un vero e proprio movimento sindacale, come organizzazione di classe, si svilupparono una serie di lotte a fine rivendicativo, spontanee e non ordinate.
Il 1848 fu l’anno che caratterizzò le prime e massicce lotte sindacali coincidendo con quella che si può definire la prima vera rivoluzione italiana.
A Napoli, il 15 maggio del 1848, i contadini chiesero la divisione dei beni demaniali e la quotizzazione dei latifondi, nello stesso periodo in Calabria, a Salerno, a Cava dei Tirreni, gli operai tessili, i muratori, i tipografici, in segno di protesta contro l’introduzione delle macchine e per i salari di fame incendiarono le fabbriche.
A Firenze gruppi di operai non organizzati protestarono davanti al Municipio chiedendo pane e lavoro.
Le rivendicazioni sindacali di allora potevano essere così riassunte:
<<a) diminuzione dell’orario di lavoro (in quel periodo non vi era una regolamentazione dell’orario di lavoro e gli operai erano costretti a lavorare 16 ore al giorno,
b) divieto del lavoro domenicale,
c) aumento di salari,
d) abolizione dei macchinari che sostituivano il lavoro manuale,
e) divieto di adibire ai lavori pesanti donne e i fanciulli (in quel periodo non vi era alcuna tutela per la maternità e i fanciulli dovevano eseguire lo stesso lavoro e gli stessi orari assegnati agli adulti).
Fu così che, seppure incoscientemente, cominciò la lotta per le prime rivendicazioni sindacali ed alcuni animosi diedero vita a dei veri e propri organi di stampa che trattavano i problemi del mondo del lavoro. A Firenze uscì un foglietto chiamato: <<L’alba>> che sosteneva i principi dell’organizzazione del lavoro. A Milano, dalle colonne del giornale democratico <<L’Operaio>>, si continuava a stimolare i lavoratori affinché costituissero forti associazioni, società di mutuo soccorso e cooperative a tutela dei loro interessi economici e morali. Nel frattempo non mancava l’emanazione di tutta una serie di leggi e divieti contro i raggruppamenti impegnati a difendere, in ogni modo, gli interessi professionali. Si diede vita pertanto ad innumerevoli società di mutuo soccorso che, sorte per fini puramente assistenziali, in effetti si occupavano dei problemi dei lavoratori. Per altro le società, sorte in forma clandestina, furono sempre osteggiate dagli organismi politici.
A questo proposito è bene sottolineare che fu un periodo dominato dall’avversione alla lotta di classe. In fatti, continue erano le esortazioni ai lavoratori di <<stare tranquilli e non dar retta agli interessati inventori di una questione sociale>>.
I codici e le misure amministrative e di polizia contribuirono comunque ad impedire coalizioni, scioperi, raggruppamenti sindacali ed associazioni professionali molto più degli inviti e delle esortazioni. Fu istituita una legislazione severissima contro gli scioperi e i codici disposero severe pene contro ogni associazione operaia.
Il codice penale toscano, ad esempio, promulgato da Leopoldo II, pur ammettendo la libertà di associazione puniva severamente lo sciopero e qualsiasi altro tentativo diretto a sostenere proposte di miglioramento delle condizioni economiche e sociali dei lavoratori. […]

Tratto dal libro “Il sindacato in Italia” – breve storia a cura di Raffaele Marcacci

Disponibile presso la Biblioteca Nazionale UIL Arturo Chiari