ACCADDE OGGI – 11 maggio 1920 eccidio dei minatori del Sulcis

All’ombra della sirena – Storie di vita mineraria narrate dai figli dei protagonisti di Roberto Camedda

11 maggio 1920: nel corso di una manifestazione organizzata dai minatori del Sulcis per chiedere condizioni di lavoro migliori, maggiori diritti e stipendi adeguati la situazione degerò, trasformandosi in strage.
Durante il corteo dei manifestanti, un migliaio, ci furono tensioni con i soldati della “forza pubblica”, che non esitarono ad aprire il fuoco.
Pesantissimo il bilancio: i morti furono cinque (più due vittime decedute nei giorni successivi per le gravi ferite riportate), mentre i feriti furono una trentina.

MORTI IGLESIAS 1920

[…] Quando imboccammo la via Macelli, capii che qualcosa di strano era accaduto.

Mai avevo visto quella via così affollata.

Tutta quella gente andava verso casa mia, altri sostavano davanti alla porta e notai un via vai di donne dagli occhi umidi.

Non sò perchè lo feci, ma, mi svincolai con uno strattone e.. via di corsa.

Mi feci largo come potei, spingendo, io piccolo uomo fra figure infinitamente grandi, vise la mia piccola dimensione, … cosa non vidi!

Quella visione, come un’apparizione improvvisa, mi ha accompagnato per tutta la vita, è impressa nella mia mente come il dipinto più spaventoso che abbia mai colpito la mia sensibilità.

Sciopero generale del 15 maggio 19061Quel quadro di letteratura tragica fa ancora bella mostra di se, resta nel mio inconscio, senza mai entrare nello spazio sedimentato dell’oblio.

Rimasi impietrito, allibito, tra lo spavento e lo sbigottito, turbato, smarrito e intimorito.   Mai tanta gente era stata vista stipata in così poco spazio.

Un angolo della casa, il più oscuro, fu reso ancora più tetro dal regista che, per restare in clima di tragedia, aveva socchiuso lo scurino dell’unica finestra.

Il buio d’ambiente doveva rappresentare lo status, il momento infausto che si stava vivendo. In quell’angolo mia madre, una giovane donna, minuta dall’aspetto, si disperava: urlava, si dimenava, portava le mani al viso e poi si inchinava verso il grembo in una danza macabra, figura reale, rappresentazione autentica di una finzione tragica di teatro greco.    Il rituale della tragedia va rispettato, una mano pietosa le aveva postato sul capo un lungo manto nero che lasciava vedere solo una porzione di viso e scendeva lungo il suo corpo fino a terra.

L’amica di sempre, Ersilia, le era accanto, seduta al suo fianco e la sosteneva in quei momenti isterici, assecondava quella lugubre danza e le asciugava le lacrime e sudore.   Le offriva tutta la solidarietà, il conforto che può dare una vera amica, un’amica sincera, come è sempre stata finchè fu in vita.

Il mio istinto provvide alla mia immunità.

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Meccanismi di difesa scesero a proteggere il forte impatto che non divenisse dirompente, che non procurasse lacerazioni insanabili.

Forse fu l’angelo custode dei bambini buoni che mi consigliò la fuga.

Fuggii, riguadagnai la strada, mentre mani pietose mi accarezzavano e cercavano di trattenermi.

Il rifiuto era la negazione di un dolore che mi apparteneva e che la ragione rifiutava.

Quel bambino provava per la prima volta l’effetto della disperazione, per la priva volta si sentì solo, ancor di più solo e indifeso in quella marea di persone che manifestavano atteggiamenti di dolore.

Quel bambino aveva capito e rifiutava le sensazioni che stava vivendo e che avevano una dimensione molto più grande di quanto la sua età gli consentiva di reggere. […]pp.158

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Disponibile presso la Biblioteca Nazionale UIL Arturo Chiari