ACCADDE OGGI – 26 agosto 1884 nasce Antonio Piccinini
“storia di quattro anni (1919 – 1922) di Pietro Nenni
26 agosto 1884 nasce Antonio Piccinini (Reggio nell’Emilia, 26 agosto 1884 – Reggio nell’Emilia, 28 febbraio 1924) è stato un politico e sindacalista italiano, militante dell’antifascismo in Italia.
Tipografo e sindacalista, era nato a Reggio Emilia il 26 agosto 1884. Socialista massimalista, segretario della federazione reggiana, consigliere e assessore provinciale, per la sua attività politica e sindacale fu perseguitato e minacciato: fu anche arrestato insieme con Pietro Nenni, durante una riunione regionale a Bologna il 31 dicembre 1923.
Accettò la candidatura alle elezioni politiche dell’aprile 1924, ma la sera del 28 febbraio 1924 fu prelevato a domicilio da alcuni fascisti, che s’erano fatti aprire con uno stratagemma: si spacciarono per socialisti esibendo una tessera sottratta a veri iscritti, aggrediti in precedenza. Fu trucidato di lì a poco nella casa di due dei sequestratori, che dopo averlo appeso a un gancio da macelleria gli squarciarono il ventre e lo finirono con quattro colpi di rivoltella sparati a bruciapelo. Poi il corpo straziato venne fatto trovare all’alba sotto un albero lungo la ferrovia Reggio-Ciano, non lontano dalla sua abitazione, per sviare le indagini.
La direzione del Partito Socialista Italiano chiese comunque a iscritti e simpatizzanti di votarlo il 6 aprile e, nonostante le intimidazioni e minacce squadristiche fin dentro i seggi, il suo nome ebbe tante preferenze da ottenere l’elezione postuma (elezione che non è chiaro se sia mai stata formalmente invalidata)[1].
Di fatto gli subentrò Giovanni Bacci – che era stato direttore dell’Avanti!, segretario del Psi e parlamentare – il quale tentò poi di commemorare in aula il compagno ucciso: invano, perché la maggioranza glielo impedì. Alla Camera dei deputati l’omicidio fu comunque citato nello storico discorso con cui, il 30 maggio, Giacomo Matteotti denunciò i brogli e le violenze commessi in tutt’Italia dai fascisti (discorso che sarebbe costato la vita anche a lui).
[…] Due anni fa si parlava con l’Amico indimenticabile Pietro Gobetti – ahimè anch’Egli strappato alle nostre battaglie dalla morte che lo colse sulle vie dolorose dell’esilio – della esperienza socialista dal ’19 al ’22. <<Perchè – mi disse – non scrivi la storia di questo triennio?>>.
Poi da Torino mi tempestò di lettere finchè non l’ebbi assicurato che m’ero messo al lavoro. Ma preso da tante altre incombenze, il lavoro precedette molto lentamente e non l’ho potuto completare che dopo aver lasciata la direzione dell’Avanti! Devo dire che a porre risolutamente il problema dell’unità socialista, non poco mi ha spinto questo tuffo nel passato, questa necessità in cui mi sono trovato di rivivere giorno per giorno le tormentose vicende degli ultimi anni e di constatare il vuoto desolante di certi schemi rivoluzionari, la totale assenza di senso politico nella battaglia che i socialisti impostarono nel 1919.
Se la mentalità mussulmana del <<diciannovesimo>> fosse liquidata, forse sarebbe un fuor di luogo insistere su questa esperienza. Ma siccome possiamo prevedere un dopo-fascismo che sotto molti aspetti sarà un dopo-guerra e siccome abbiato tutti avuto ed abbiamo sotto gli occhi di molteplici sintomi che ci preannunziano un bis del diciannovesimo, con le medesime incomprensioni di taluni elementi riformisti e le medesime ubbie demagogiche di una sedicente sinistra, così questo libro non mi è parso e non mi pare inutile. Mostrerà esso, non attraverso le mie parole, ma attraverso l’eloquenza delle cose, come molte volte ci si illuda di andare a sinistra e si vada a destra (e si faccia addirittura nella maniera sciocca il gioco dei propri nemici); insegnerà a disprezzare le distinzioni puramente di parole e le generalizzazioni accademiche; ammonirà a non abusare delle formule e delle classificazioni. […]